Recensione: Sweet Evil Sun
“Sweet Evil Sun” è il tredicesimo full lenght dei Candlemass, il terzo con Johan Längquist alla voce. Johan fu inizialmente assoldato dal fondatore e bassista Lief Edling come session vocalist per le registrazioni di “Epicus Doomicus Metallicus”, quel debutto del 1986 che davvero si merita l’appellativo di genre-defining album, in ragione dell’enorme influenza che ebbe nel definire i canoni di tutto l’Epic Doom a venire. Da allora furono diversi i vocalist che si susseguirono dietro al microfono nell’ormai quasi quarantennale storia della band, tra cui l’italo-svedese Messiah Marcolin con cui i Candlemass attraversarono il loro periodo d’oro, tra il 1987 e il 1990, con uscite come “Nightfall” e “Ancient Dreams”.
Facciamo ora un salto temporale di più di 30 anni. Siamo nel 2018 e Mats Levén è l’ennesimo singer ad abbandonare (o essere allontanato) dalla band ed ecco che Edling e compagni chiamano il vecchio Johan (con cui qualche anno prima si erano esibititi al Roadburn Festival eseguendo per intero “Epicus Doomicus Metallicus” in occasione del suo 25° anniversario). In quel periodo i Candlemass erano nel bel mezzo dei lavori che, di lì a pochi mesi, avrebbero condotto alla pubblicazione di “The Door to Doom”. A Längquist l’ingrato compito di mettere la sua voce su brani composti e arrangiati per un altro cantante. Il risultato finale è complessivamente sufficiente, ma non veramente soddisfacente e, per forza di cose, un po’debole in quanto a organicità.
Dopo quasi quattro anni i Candlemass tornano con “Sweet Evil Sun”, uscito il 18 novembre via Napalm Records. Si tratta di un album roccioso e compatto, più epico, oscuro e lento rispetto alle release più recenti del combo di Stoccolma, sebbene non privo di aperture a un ’80 Heavy Metal dalle andature sostenute.
Il disco si apre sulle note di “Wizard of the Vortex”, un downtemo i cui riff granitici e incisivi e la solida sezione ritmica definiscono un crushing Doom che, unito alla drammaticità delle linee vocali di Längquist, offre chiare reminiscenze di quel capolavoro che fu “Epicus Doomicus Metallicus”. Sebbene non raggiunga i fasti di quei brani seminali, la opener è genuina, robusta e d’impatto, particolarmente adatta alla dimensione live. Lungo le medesime coordinate si muovono “Black Butterfly”, “When Death Sighs”, l’incombente “Angel Battle” e “Goddess”.
La title track è incalzante e battagliera grazie alle ritmiche relativamente serrate e agli abbondanti inserti di Metal classico, a cui i Nostri spesso ricorrono quando decidono di spingere sull’acceleratore. “Scandinavian Gods”, primo singolo estratto da “Sweet Evil Sun”, ne è anche uno degli episodi più convincenti: una marcia dai toni epici che, con il suo ritornello “…sing for me brother, sister and son – sing for the brave and old scandinavian gods”, è un vero proprio inno Epic Doom Metal.
Da segnalare infine “Devil Voodoo”, una cavalcata Doom che si distingue per una intro dal sapore Folk e per alcune sezioni dal drumming quasi tribale, “Crucified”, il passaggio più tirato del platter, in cui non mancano comunque minacciosi rallentamenti marcati da tetri rintocchi di campane di sabbathiana memoria, e la brevissima outro strumentale “Cup of Coffin” (bel gioco di parole!!!).
Se Lief Edling si è progressivamente defilato dagli Avatarium (che senza la sua ingombrante presenza sembrano più ispirati e convincenti, come dimostrato dal recente “Death, Where Is Your Sting” qui recensito), non ha però allentato il rapporto di collaborazione con la coppia (anche nella vita) Marcus Jidell/Jennie-Ann Smith, rispettivamente chitarrista e cantante del gruppo. La Smith presta infatti la sua notevole voce sui cori di “When Death Sighs”, mentre Jidell (compagno di avventura di Edling anche nei Doomsday Kingdom) è qui impegnato in veste di produttore: a lui si deve il suono definito e potente, ma al tempo stesso intriso di un sapore inequivocabilmente old school, di “Sweet Evil Sun”.
Non è raro che band dalla storia decennale si giochino la carta del cosiddetto “ritorno alle origini”, spesso con risultati non proprio esaltanti, ma non è questo il caso. In “Sweet Evil Sun”, infatti, i Candlemass non cercano di scimmiottare ciò che erano 40 anni fa. Piuttosto, complice la presenza di Johan Längquist, rispetto alle uscite più recenti hanno qui enfatizzato maggiormente elementi e soluzioni che sono comunque da sempre presenti nel loro catalogo, mettendo a punto un album di tutto rispetto.