Recensione: Sweet Funny Adams

Di Andrea Bacigalupo - 2 Aprile 2019 - 8:30
Sweet Funny Adams
Band: Sweet
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 1974
Nazione:
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90

Siamo nel ‘74: il buon sano e vecchio Rock ‘n’ Roll anni ’50, che ha dato una svegliata ai giovani dell’epoca, si è evoluto e ramificato. L’Hard Rock, la sua matrice più dura, svetta in alto, con gruppi ormai consacrati come i grandi Who, veri innovatori, i potenti Deep Purple, che in quell’anno fecero uscire ‘Burn’, il loro ottavo album, i più sofisticati Led Zeppelin ed i demoniaci Black Sabbath, all’attivo ciascuno con cinque LP.

Non si scherza neanche sul fronte del più sofisticato Progressive, con i Genesis, gli Area, i nostrani Premiata Forneria Marconi (PFM), King Crimson, Jethro Tull e molti altri.  

In questo periodo, quindi, sembra che la creatività musicale non abbia limiti ed una schiera di nuovi personaggi comincia ad affacciarsi sulla scena.

Tra questi, il 1974, mette in luce Scorpions e Blue Oyster Cult e vede uscire ‘Rocka Rolla’, esordio dei Judas Priest, album che, seppur non molto valutato dal pubblico, dimostra la potenzialità del gruppo che ha fatto dell’Heavy Metal la propria bandiera e che ancor’oggi sventola.

Le parole Heavy Metal, nate per evidenziare il disprezzo verso questa musica forte, cominciano a cambiare di significato: ad artisti e fans il termine piace ed il Rock si avvia verso l’ennesima evoluzione.

Evoluzione che non viene vista solo sotto il profilo dell’impatto sonoro ma anche di quello delle performances da esibire sul palco, attraverso le quali si esercitano ribellione e provocazione. Anche il gesto di frantumare chitarre e batterie, tanto caro ai Who e a Jimi Hendrix, non basta più. 

Ed è così che la folla si esalta per le stravaganze di Freddy Mercury, oltre che per l’ottima musica dei suoi Queen (il 1974 vede uscire il loro terzo album ‘Sheer Heart Attack’), per il modo di stare sul palco dei Kiss, con le loro maschere e gli abiti da scena ispirati al teatro Kabuki, per gli oltraggiosi Aerosmith e per gli sguaiati New York Dolls, giusto per fare qualche esempio.

Voglia di libertà, provocazione e contestazione contro i pregiudizi che gli inglesi Sweet sanno bene come affrontare.

Sweet 1

Musicisti di grande talento e con le idee chiare, si uniscono nel 1969 e definiscono la loro formazione l’anno successivo (tra l’altro, alle origini, dietro il microfono stava Ian Gillan, poi sostituito da Brian Connolly, per entrare nel Deep Purple).

I primi anni non furono facili, più coronati da flop che da successi, con la casa discografica EMI che voleva imporre al combo uno stile di facile ascolto, scontrandosi con la loro natura aggressiva.

Ma il talento e la voglia di spaccare ebbero la meglio e gli Sweet si fecero notare centrando una serie di singoli che li portarono al primo album ‘Funny How Sweet Co-Co Can Be’, inciso per la RCA.

Fino al 1974 il sound degli Sweet rimase altalenante; brani commerciali venivano accoppiati ad altri più tirati ed incisivi e gli show cominciavano a mostrare il loro lato ribelle e sfrontato, manifestato utilizzando abiti sgargianti e glamour ed un atteggiamento sessualmente ambiguo, esaltato dalla particolarità delle curatissime armonie vocali.

Alle fine i padroni del business discografico si convinsero e prevalse il lato più vero degli Sweet: un rock elettrico, dirompente, sfacciato ma al contempo duro, articolato e ricco, risultato di un’alta qualità tecnico–compositiva e di un’ottima padronanza vocale da parte di tutti i componenti. 

Il lavoro, che li portò definitivamente al successo, fu il secondo album: ‘Sweet Funny Adams’, provocante in modo agghiacciante già dal titolo: Funny Adams era una bambina inglese brutalmente uccisa da Frederik Baker, segretario del procuratore legale, che la fece letteralmente a pezzi in modo talmente atroce che alcuni di essi non furono mai ritrovati.

Successivamente, con il loro tipico umorismo ‘’nero’, in questo caso direi più che discutibile, i marinai della marina militare britannica cominciarono ad utilizzare il termine ‘Funny Adams’ per indicare le sgradevoli razioni di carne che erano servite spesso a bordo. Con il tempo l’uso del termine si allargò a qualunque cosa non gli aggradasse e fu praticamente l’antesignano del poi più largamente utilizzato ‘Fuck All’. 

A colpire non furono solo il titolo ed l’aspetto estetico degli artisti, ma lo fu soprattutto la musica: un set di nove pezzi vincenti, vivi ed elettrizzanti, orecchiabili, facili da ricordare anche se articolati e frutto di un gran lavoro compositivo e di arrangiamento.

La versatilità delle voci, gli assoli incisivi sempre in armonia con il pezzo, l’uso della ritmica come protagonista e non come semplice sezione di accompagnamento, la ricerca della perfezione sonora e l’onnipresente sensazione di ‘ci stiamo divertendo … però facciamo le cose sul serio’ ha reso il disco unico, attuale ancora oggi seppur passati quarantacinque anni, tanto è vero che gli Sweet influenzarono ed influenzano moltissimi gruppi e sono stati un elemento cardine per lo sviluppo dell’Heavy Metal, tanto che moltissime loro canzoni sono state nel tempo coverizzate con gran divertimento.

Una tra le tante è ‘Set Me Free’, ripresa dagli Heathen, dai Saxon, da Vince Neil e chissà quanti altri, che apre ‘Sweet Funny Adams’. Con la sua struttura legata da una deflagrante batteria e da cori vivaci, il suo assolo centrale e le parti di Twin Guitar, che oggi chiameremmo alla ‘Maiden’, è un brano Heavy Metal frizzante ed immediato, che si stampa in testa e lì vi rimane.   

     

Segue la massiccia ‘Heartbreak today’, con una chitarra iniziale che ricorda un po’ il modo di suonare di Pete Townshend degli Who, maestro delle sei corde. La ritmica è dura e si contrappone ad un refrain orecchiabile ed agli onnipresenti cori. Particolare è il finale, che si distacca dal pezzo assumendo una ritmica funkeggiante.  

No you don’t’, cantata da Steve Priest, è dirompente e dura, soprattutto nel refrain, con un buon tiro dato dagli svariati cambi di tempo. L’introduzione della chitarra acustica che si oppone al riff rende ancora tutto più determinato ed il synth da una nota psichedelica che affascina.

Rebel rouser’ parte con ritmo Rock ‘N’ Roll a cui seguono strofe stravaganti ed irriverenti. Il refrain è orecchiabile e divertente.

La facciata ‘A’ dell’album si chiude con ‘‘Peppermint twist’, brano dei Joey Dee e le Starliters che ebbe un grande impatto sul mondo musicale, andando a sostituire ‘The Twist’ di Chubby Checker. Fu interpretata da un sacco di artisti tra i quali, ad esempio, Bill Haley and His Comets, Adriano Celentano, Caterina valente e, più avanti, da Bon Jovi.

Vera icona del Rock ‘N’ Roll, gli Sweet la suonano con un maggior tiro, dando sfogo alla loro vena Hard ed elettrica, scandendo il tempo con un battito di mani che la rende ancora più divertente e sfacciata.

Il tirare il Rock ‘N’ Roll oltre misura fu poi ripreso qualche anno dopo dai Ramones, dando inizio alla scena Punk.

Il lato ‘B’ inizia con la title-track, ‘Sweet F.A.’, marziale e pesante è una cavalcata Heavy Metal molto articolata, corredata dai soliti coretti trasgressivi dove la sezione ritmica la fa da padrona e l’assolo si divide tra una sezione dura ed una più psichedelica. E’ uno dei pezzi più riusciti dell’album.

Restless’, cantata nuovamente da Steve Priest, è un po’ più leggera e volubile, indurita dall’assolo seguito alla grande dal basso.

E’ Andy Scott che canta ‘Into the night’, pezzo molto duro e marziale con diversi cambi di tempo, dove eccelle una sezione scurissima e lenta di batteria e campane con effetti infernali riempitivi.

Chiude ‘AC-DC’, pezzo divertente e spumeggiante con ottimi stop and go. Una chiusura allegra per un disco serissimo.

Gli Swett proseguirono la loro carriera tra altri e bassi, sperimentazione e ritorni su se stessi. 

Dell’originale formazione sono sopravissuti il chitarrista Andy Scott ed il bassista Steve Priest, che ancora oggi portano in giro il repertorio del combo esibendosi separatamente.

Purtroppo Brian Connolly è deceduto il 9 febbraio 1997 per colpa del suo cuore malato da tempo, seguito pochi anni dopo da Mick Tucker, che ci ha lasciati il 14 febbraio 2002 malato di leucemia.

Sweet Funny Adams’ è la testimonianza di un genio creativo fuori dal comune, che ha saputo imporsi su chi all’epoca, come oggi, prendeva le vere decisioni commerciali. Gli Sweet sono riusciti a guardare avanti senza timore, partecipando in modo più che concreto al futuro dell’Heavy Metal. 

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