Recensione: Swing Of Death
Quando due pesi massimi quali Trond Holter (meglio noto come chitarrista dei Wig Wam) e l’onnipresente Jorn Lande (Ark, Masterplan, Millenium, Jorn, ecc. ecc.) decidono di unire le loro forze, andando per di più a confrontarsi con un caposaldo della letteratura horror mondiale, ci sono sostanzialmente due scenari possibili: il capolavoro oppure l’occasione clamorosamente mancata.
Se non avete ancora sbirciato il voto a fondo pagina, tirate pure un sospiro di sollievo. Raramente, infatti, l’unione di talenti così diversi ha trovato in passato un tale equilibrio e una tale forza espressiva. Merito di Jorn, sicuramente, più che mai a suo agio in un simile contesto grazie al suo vocalismo teatrale ed evocativo, e merito anche (o forse soprattutto? NdR) di un ispiratissimo Trond Holter, davvero abile nello sfruttare appieno il registro canoro ed interpretativo dell’ex-Ark.
Il concept sul vampiro più famoso del mondo – non ce ne vogliano i fanatici della saga di Twilight – scorre che è un piacere, senza soluzioni di continuità e soprattutto evitando la trappola dei troppi intermezzi parlati che spesso finiscono per togliere ritmo e pathos a molte opere analoghe. Le canzoni, pur strutturalmente piuttosto semplici non risultano mai banali e trovano, anzi, il loro punto di forza proprio nell’assoluta proprietà con la quale elementi di scuola tipicamente classic hard rock riescono a fondersi alla perfezione con arrangiamenti dal taglio barocco/operistico.
“Hands Of Your God”, con i suoi quasi quattro minuti, ci trasporta a poco a poco nella dimensione della vicenda, introducendo la figura di Dracula e lasciandoci intuire quali saranno le coordinate sonore sulle quali si dipanerà l’album. “Walking On Water” impatta subito alla grandissima grazie al rifferama di scuola hard ‘n’ heavy, ad un refrain trascinante e al bell’assolo di chitarra, mentre con la doppietta composta dalla sbarazzina “Swing Of Death” e dalla Tim Burton-iana “Masquerade Ball”, Lande & Holter hanno modo di esplorare il lato più barocco e glamour del Conte. Da segnalare i sontuosi arrangiamenti a metà strada tra il musical e l’operetta e i preziosi passaggi acustici.
La partenza di “Save Me” è addirittura tempestosa, ma nel volgere di pochi istanti e con il pertinente contributo vocale di Lena Fløitmoen, le atmosfere mutano tosto verso il sereno, tra maestosi cori di scuola Queen e un accompagnamento strumentale da brividi. Le scalpitanti “River Of Tears” e “Queen Of The Dead” – per chi vi scrive, il top assoluto in scaletta – tornano a parlare la lingua dell’hard rock classico di giganti come Deep Purple, Whitesnake e Led Zeppelin, senza però rinunciare alle ormai immancabili puntate operistiche e, soprattutto, fregiandosi della performance di un Lande a dir poco indiavolato, senza dubbio alla sua miglior interpretazione da qualche anno a questa parte.
Marciando verso il finale, con la doppietta costituita dalla cupa “Into The Dark” e dalla strumentale “Through Love Through Blood”, il mood dell’album muta in maniera sensibile lasciando spazio ad atmosfere più oscure e a distorsioni finora mai così pesanti. Eppure i pezzi continuano a colpire a duro, anche in assenza di riff a presa rapida e di ritornelli monstre, fino al gran finale riservato ad “Under The Gun”, degna conclusione di un album che per tutta la propria durata non lesina idee ed energie.
Che altro aggiungere se non l’augurio di poter prima o poi ammirare “Swing Of Death” su di un palco, magari in un teatro e con l’accompagnamento di un’orchestra? Nulla, perché i norvegesi a questo giro hanno azzeccato davvero tutto e la musica contenuta in questo disco dice già di per sé più di mille parole.
Stefano Burini