Recensione: Switchblade
Gli Switchblade sono la creatura del proprietario della Trust No One Records (che nel gruppo ricopre il ruolo di batterista), ma credo che difficilmente potrebbero mai diventare il gruppo di punta dell’etichetta: il loro genere, infatti, è uno dei più ostici e più di nicchia di tutto il panorama metal, ossia il drone doom. Se far rientrare o meno il drone nella famiglia del metal è un argomento spesso oggetto di discussione, dal momento che la sua natura estremamente dilatata (molto più di quanto ci si potrebbe aspettare da un tipico gruppo funeral doom), il ruo rumorismo riverberato e dissonante, e la generale assenza di melodie definite lo avvicinano di più a certe frange del noise e dell’ambient che non al metal in senso stretto; gli Switchblade però, complice anche una certa influenza sludge, rientrano senz’altro nel versante “metallico” del drone. La band svedese, inoltre, può ormai considerarsi una veterana della scena, essendo al suo quinto full-length omonimo (proprio così: cinque album, tutti chiamati Switchblade).
Dicevamo poc’anzi che il drone è un genere che difficilmente raggiunge un pubblico vasto (i Sunn O))) fanno eccezione – pur con le dovute proporzioni), e gli Switchblade non fanno nulla per spezzare tale tradizione. Le sopracitate influenze sludge potrebbero far pensare ad una maggiore accessibilità, ma non è così: se il riffing, infatti, attinge da suddetto genere, la modalità in cui le canzoni sono composte appartiene senza dubbio al drone. La lentezza è esasperante, i riff si trascinano come pachidermi l’uno dopo l’altro costruendo melodie (termine non del tutto appropriato) difficili da individuare, il cui scopo non è tanto tracciare un percorso quanto avvolgere l’ascoltatore in una nube allucinogena, fatta di atmosfere marce e insostenibili. Come ogni buon gruppo drone che si rispetti, il muro sonoro che viene a costituirsi è imponente, ed a spiccare sono tanto la zanzarosità delle chitarre e la profondità del basso, quanto la possenza dei colpi di batteria. L’apporto vocale è abbastanza limitato, ed è costituito essenzialmente da lontani rantoli soffocati ed urla assortite, la cui rilevanza nel mix è decisamente secondaria, col risultato che la voce è quasi sempre sovrastata dagli strumenti. Le tracce sono tre, la prima di dodici minuti, le altre due di diciotto, e sebbene vi sia qualche rara sezione leggermente più veloce – sempre in proporzione, ovviamente – l’incedere è generalmente tanto lento da sfiorare, a tratti, l’immobilità, il silenzio; gli Switchblade hanno ben chiaro cosa vuol dire comporre musica sfibrante, e proseguono dirtti per la propria strada, senza far sconti a nessuno.
Insomma, c’è poco altro da aggiungere: siamo di fronte ad un gruppo drone doom, nè più, nè meno. Gli Switchblade hanno confezionato un album onesto, che pur non possedendo quei guizzi che hanno fatto grandi band come Khanate, Earth o Teeth Of Lions Rule The Divine, svolge il proprio dovere egregiamente e si mantiene su standard qualitativi più che buoni; gli estimatori di questo genere sono caldamente invitati a dargli un’occhiata, mentre gli altri farebbero meglio ad approcciarsi con cautela ad un prodotto così inaccessibile, destinato – è evidente – ad una ristretta cerchia di appassionati che sa perfettamente cosa aspettarsi.
Giuseppe Abazia
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Tracklist:
01 – Part I (12:24)
02 – Part II (18:33)
03 – Part III (18:14)