Recensione: Swords of Dajjal

Di Daniele D'Adamo - 3 Febbraio 2024 - 0:00
Swords of Dajjal
Band: Necrowretch
Etichetta: Season Of Mist
Genere: Black 
Anno: 2024
Nazione:
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70

Quinta prova sulla lunga distanza, per i Necrowretch. “Swords of Dajjal” è il nuovo lavoro che arriva a quattro anni distanza di “The Ones from Hell”.

L’LP è composto da otto episodi, ciascuno incentrato sulle profezie di Dajjāl, essere malvagio dell’escatologia islamica destinato a regnare nel Mondo per un periodo di quaranta giorni prima del giorno del giudizio.

Questa scelta testuale, eminentemente astratta, implica inesorabilmente un approfondimento artistico, ma non solo, delle emozioni, dei sentimenti, dei singulti che fluttuano nell’animo umano, giacché va a toccare con mano le paure più recondite dell’animo stesso. Con la conseguenza diretta di un sound principalmente brutale, violento, carico di tensione (‘Ksar Al-Kufar’).

Rispetto alle produzioni precedenti, il combo francese ha però rallentato la propria furia demolitice, la quale non avvolge più l’intero album ma soltanto tratti, a volte anche piuttosto estesi, dei singoli episodi. A dimostrazione di quanto più su evidenziato, detti episodi mostrano un volto dai lineamenti meno aggressivi ma più scavati, segno inequivocabile di un vissuto maggiormente riflessivo che rimanda a visioni di mirabili crepuscoli nel deserto, quando la tonalità arancione ammanta tutto e tutti.

A parere di chi scrive, tutto questo rappresenta un piccolo passo evolutivo in avanti, da parte del terzetto transalpino, giacché non si tratta più di fast black metal e basta quanto, piuttosto, di black metal più classico. Black metal in cui convivono repentini rallentamenti ove la chitarra a dodici corde plasma un mood arcano, magico, cupo nonché, in alcuni tratti, malinconico (‘Numidian Knowledg’). Con, d’altro canto, i bestiali attacchi alla giugulare condotti dalla furia demolitrice dei micidiali blast-beast che spezzano letteramente in due la schiena (‘Vae Victis’).

La miscela suddetta occorre evidenziare che è stata dosata nei suoi ingredienti con abilità e personalità. Qualità che certamente non manca nel bagaglio tecnico/artistico dei Nostri, i quali, nel corso della loro carriera, sono cresciuti a poco a poco sino a essere in grado di stampare un disco dall’elevata professionalità. Perfetto nell’esecuzione nonché nella produzione, quest’ultima pulita e cristallina grazie all’appartenenza al roster di una label seria e ricca di esperienza come la Season Of Mist.

Frugando fra le note delle varie canzoni si trova anche un po’ di melodia (‘Daeva’) che, però, non è fra i segni caratteristici dell’Opera; travolta dalla gustosa hyper-speed di ‘Total Obliteration’. Traccia che, nomen omen, è stata concepita per devastare a tappeto qualsiaso oggetto trovi sul suo cammino. Si ritrova, quindi, l’espressione della massima potenza, individuabile in un monumentale, isolato muro di suono ubicato fra le dune del Sahara.

Eretto pietra dopo pietra da un riffing devastante unitamente a un drumming i cui BPM eludono la coscienza per immettere la medesima in uno stato di allucinazione mistica, lisergica nell’attivazione di visioni indicanti il Mondo mentre sparisce dalla faccia dell’Universo. Anche in questo caso sono predenti declinazioni segnate da slow e up-tempo, con a capo la sempiterna presenza della chitarra acustica.

“Swords of Dajjal” è quindi un full-length caleisoscopico, in cui convivono diversi se non opposti stati d’animo. Creati da un songwriting maturo, scevro da discontinuità strutturali, capace di dar vita a canzoni elaborate come, per esempio, la title-track. Malgrado ciò, appaiono più centrate ed efficaci le sezioni di massima celerità, ove si raggiungono valori elevatissimi di pressione sonora (‘Dii Mauri’). Quelle deputate a estrinsecare con calma e più intensità il terrore della morte, invece, appaiono meno coinvolgenti, meno catchy.

Nonostante tutto, e prendendo atto del coraggio dei Necrowretch nel tentare diprodure qualcosa di nuovo, al momento, con “Swords of Dajjal”, sembra che sia migliore la sostanza di quando viaggiano alla velocità della luce.

Daniele “dani66” D’Adamo

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