Recensione: Swordwind

Di Stefano Ricetti - 18 Ottobre 2015 - 12:30
Swordwind
Band: Stormwolf
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2015
Nazione:
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74

Swordwind è il disco d’esordio autoprodotto degli Stormwolf, combo ligure nato nel 2014 per volere di Francesco Natale, già axeman dei Burnout nonché anima e core dell’intero progetto, che vede coinvolti, oltre al chitarrista, anche Elena Ventura alla voce, Mark Castellaro al basso e Jack Stiaccini alla batteria.   

Creato con la collaborazione di Pier Gonella dei Necrodeath presso gli studi Musicart di Rapallo, il lavoro dalla copertina curata da Cristina Garbini porta naturalmente a pensare ai metaller tedeschi Unrest di Watch Out, del 1997, tante sono le similitudini fra le due immagini, entrambe fottutamente azzeccate nel loro minimalismo.

Otto sono le tracce che compongono la colonna vertebrale del lupo metallico, delle quali cinque inedite, tutte a firma Natale, accompagnate da ben tre cover, rispettivamente di Saxon, Loudness e Warlock. Pleonastico quindi specificare che la band di stanza a Genova porti in grembo la grandiosa lezione dei grandi gruppi HM degli anni Ottanta, sia nella musica che nell’attitudine. Al di là del fatto di essere in presenza di tre pezzi di altri su otto in totale, è altrettanto curioso rimarcare come gli Stormwolf abbiano optato per un episodio interessante come Rock’N’Roll Gypsy degli Stallions of the Highway dello Yorkshire Saxon, sebbene di caratura inferiore ai grandi classici del Metallo scritti dai britannici. Canoniche invece le scelte afferenti le altre due band: Crazy Night dei Loudness e l’anthem All We Are dei Warlock. Obbligatorio, a questo punto, per il futuro, puntare più sugli inediti, da parte della band, per poter così costruire al meglio la propria personalità.     

Appare doveroso, nei riguardi del packaging del prodotto, spendere due parole, visto l’allestimento estremamente professionale del tutto,  migliore di molte altre uscite altisonanti “ufficiali”: il Cd alloggia all’interno di un digipack a due ante di ottima fattura e il libretto allegato di otto pagine riporta tutti i testi accompagnati a belle foto della band, curato sotto ogni aspetto.  

Alla title track aprire le ostilità: sette minuti e mezzo di assalto sonoro in doppia cassa accostabile ai Grave Digger meno beceri. I riferimenti ai becchini di Gladbeck si fermano però alla mera parte strumentale, la sensualità della timbrica di Elena Ventura – cantante con varie esperienze anche in ambito Jazz – spazza in un sol colpo gli eventuali rimandi all’ugola scartavetrata di Chris Boltendahl. Marathon, come la traccia che l’ha preceduta, evidenzia la capacità della sei corde imbracciata da Francesco Natale di fendere l’aria come un rasoio appena uscito di fabbrica, nell’occasione nella sua accezione vanhaleniana al servizio di un episodio a metà fra l’Hard e l’HM.    

Rock and Roll Gypsy dei Saxon graffia a dovere, i liguri si attengono alle linee guida ufficiali del pezzo tratto da Innocence is no Excuse del 1985 dimostrando si saperci fare ma soprattutto di portare la doverosa referenza a una delle band monumento dell’heavy metal.

Impressionante la somiglianza fra la voce di Elena Ventura e miss Doro Pesch: Winter of the Wolf, pezzo a la Skanners, è lì a dimostrarlo. Sinuosi i cambi di tempo, proprio come i maestri bolzanini. Così come la cover precedente anche Crazy Nights dei Loudness viene riproposta dai nostri in modalità chirurgica, la strumentale Thasaidon dà modo a Natale di sfogare le proprie velleità chitarristiche  mentre Soulblighter ancora una volta scomoda la regina di Dusseldorf, peraltro con pregevoli risultati, sia d’insieme che di singola interpretazione canora. Quasi obbligatoria suona quindi  la chiamata all’insegna degli  Warlock in chiusura: All We Are, eseguita in maniera fedele rende tributo a un inno generazionale dell’Hard’N’Heavy.               

In conclusione, gli Stormwolf con Swordwind sfornano un prodotto di sicuro livello e di interesse per tutti gli amanti delle sonorità tradizionali dell’HM. Una band con un “tiro” naturale del genere si merita però una seconda chitarra nel prosieguo del proprio percorso, a infarcire di maggior potenza la propria proposta  soprattutto in sede live, così come un suono più crudo della batteria non potrà che giovare ulteriormente all’ensemble ligure.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

Band bar 18

 

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