Recensione: Symbols
I Dark Quarterer sono un gruppo italiano solido e stra-consolidato. La loro forza, supportata dal fatto di calcare le scene fina dalla metà degli anni Settanta, è sempre stata ben rappresentata dal fatto di costituire un’entità a sé, all’interno del variegato panorama HM tricolore. Probabilmente l’alone elitario sprigionato dalla Loro musica nonché la regola ferrea di concentrarsi sempre e comunque soltanto sul lato squisitamente artistico del prodotto li ha preservati da quelle critiche gratuite che spesso fanno parte integrante del Nostro Dna nazionale aprendo però un canale privilegiato con la critica musicale d’oltrefrontiera, attratta dal sound magnetico di Gianni Nepi&Co. Il rovescio della medaglia riguarda invece il mancato botto reale a livello di popolarità e successo, ampiamente meritato per quanto attiene la discografia pubblicata ma inesorabilmente legato alla modalità con la quale ci si muove all’interno del music-biz.
Tutte queste caratteristiche hanno, peraltro in modo assolutamente naturale, fatto incontrare la strada del gruppo di Piombino con quella di un entusiasta del movimento hard’n’heavy italico, tale Giuliano Mazzardi da Brescia, mastermind della My Graveyard Productions. Il primo frutto di questo sodalizio portò i Dark Quarterer a suonare dal vivo, con ottimi riscontri, alla prima edizione del Play It Loud Festival nonché alla ristampa di War Tears, mentre il secondo riguarda l’album Symbols, oggetto della recensione. Il precedente capitolo discografico dei toscani risale al 2002, quando sotto l’egida della Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa vide la luce Violence, un album che consegnò alla storia i Nostri alle prese con ambientazioni sonore Dark e aperture moderne.
Il nuovo full length cementa il consolidamento della line-up con l’innesto in pianta stabile del tastierista Francesco Longhi, già membro effettivo della band per quanto attiene le performance dal vivo e la definitiva consacrazione del chitarrista Francesco Sozzi, cha va ad affiancare ad armi pari i due pilastri Gianni Nepi e Paolo “Nipa” Ninci. La copertina del disco, in linea con lo spirito anti-rockstar del combo toscano, non si ciba di croci, draghi, alabarde e compagnia in briscola – con tutto il rispetto, neh? – ma propone un’opera del grande Leonardo Da Vinci: l’Uomo Vitruviano, iniziata nel 1490. Proprio come quest’ultimo, Symbols è manifesto di armonia e perfezione geometrica. Sei sono le sculture musicali contenute nel disco, tante quante i personaggi storici rappresentati, non solo musicamente ma anche graficamente, negli altrettanti testi: Tutankhamon, Giulio Cesare, Gengis Khan, Giovanna D’Arco, Kunta Kinte e Geronimo.
I quasi settanta minuti di Symbols, come da tradizione Dark Quarterer, per decollare appieno abbisognano di ripetuti ascolti ma vi assicuro che una volta raggiunto il climax necessario non vi libererete facilmente di questo dischetto ottico dal Vostro Cd-player, così come non farete più caso alla notevole durata delle canzoni. In mezzo a cotanta abbondanza di contenuti pare quasi irrispettoso citare questo o quel brano, ognuno vive di vita propria e condensa al meglio il sound adulto del quartetto della provincia di Livorno. Non riesco però a sottacere lo stacco eroico da urlo a suon di corni contenuto all’interno di Pyramids Of Skulls, roba da strappare la spada attaccata al di sopra del caminetto e scendere a combattere nel campo di battaglia delle legioni di Gengis Khan. Inevitabile poi l’orgasmo metallico dopo aver assaporato le tastiere contenute in The Blind Church nonché le linee melodiche di Crazy White Race. Ciliegine sulla torta produzione e bilanciamento strumenti, assolutamente all’altezza del prodotto.
I Dark Quarterer, con Symbols, perpetuano quello che è l’insegnamento tramandato dai grandi maestri progressive italiani degli anni Settanta riuscendo sapientemente a fonderlo in un caleidoscopio sonoro dove l’irruenza dell’Epic Metal illuminato trova la propria legittima collocazione. I Nostri consegnano ai posteri un album che fra qualche anno verrà catalogato all’interno degli straclassici, fianco a fianco delle opere ultracelebrate provenienti dall’estero, per le quali si sbava ancora oggi.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Tracklist:
1 Wandering In The Dark
2 Ides Of March
3 Pyramids Of Skulls
4 The Blind Church
5 Shadows Of Night
6 Crazy White Race
Line-up:
Gianni Nepi: vocals, bass
Francesco Sozzi: guitars
Paolo Ninci “Nipa”: drums
Francesco Longhi: keyboards