Recensione: Symphonic
Data la miriade di progetti a cui Jorn Lande partecipa costantemente, l’ascoltatore ha 1001 modi di imbattersi nella sua stratosferica voce. Indiscutibilmente uno dei modi migliori, è quello di ascoltare 01011001 degli Ayreon, dove il biondo aquilotto norvegese presta le sue capacità alla megalomania di Arjen Lucassen. Anzi, questa prosopopeica opera prog può essere ancor più abbagliante di diverse prove soliste dello stesso Jorn. Può sembrare strano, dato che nel doppio in questione il nostro è affiancato da non meno di 15 compagni, e non certo gli ultimi venuti. Eppure si desta stupore impressionante nel sentire Lande e le sue corde vocali svettare letteralmente in mezzo a cotanti cantanti (Hansi Kursh, Floor Jansen, e gente simile), illuminando le canzoni in cui compare grazie al suo piglio grintoso e alla sua interpretazione ispirata. Un’esperienza che può davvero infatuare i padiglioni acustici.
Superato codesto primo scoglio, si passi alla sua collaborazione con Allen e al lavoro coi Masterplan, per arrivare fino alla carriera solista menzionata pocanzi, carriera che, invero, desta certune perplessità. Perché il vecchio Jorn, che appena 10 anni fa si sfogava buttando fuori un LP all’anno, nell’ultimo periodo ha preferito indugiare su live, raccolte, cover natalizie e quant’altro. Scelta che ovviamente pare money-oriented ed allo stesso tempo fa diminuire la fiducia degli affezionati.
Discorso simile potrebbe essere fatto per questo Symphonic, uscito ad un solo anno da Bring rock to the land (questo era davvero un album di inediti). Presentato dall’ennesima copertina ai margini dell’agghiacciante Symphonic, come dice il titolo, è una sorta di best of con dodici brani riarrangiati in chiave orchestrale, impreziositi non certo da due inediti, ma da due cover. O meglio, quattordici brani di solido e gaudente hard rock insaporiti da archi ariosi e non troppo invadenti.
Chiaramente la domanda “ma che ce ne facciamo?” è più che lecita. Ciò nonostante basta giungere al ritornello di I came to rock per cadere ancora una volta ai piedi della sovrana voce di mastro Lande. I pezzi, benché noti, acquistano un fascino particolare e sono comunque trascinati dall’ennesima prova da applausi del singer norvegese, che al solito affascina, trascina e conquista con una grinta che ha pochi equivalenti perfino nel panorama dell’hard rock. Di highlights ve n’è fin troppi, soprattutto nei brani più tirati ed aggressivi, pezzi che permettono al nostro di regalarci prestazioni piene di pathos. La già citata I came to rock, The word i see, Time to be king e la monumentale A thousand cuts torreggiano su tutte. Ma poi Rock and roll children, cover di Dio, si rivela al solito trascinante, laddove la voce vibrante di Lande trasuda tragicità, confermando che il rocker può permettersi di reinterpretare mostri sacri senza particolari patemi d’animo. Ma anche Black morning, a dir poco sorprendente, ci rivela come Lande abbia studiato anche presso ben altri maestri, e nel presente caso da sua maestà Van Morrison – A ben guardare black morning pare tratta da Astral Weeks.
Un’altra ottima prova dunque, un altro disco di solido hard rock, forse offuscato dal fatto che non vi sia nemmeno un inedito (sebbene in luogo di brani nuovi troviamo comunque due splendide cover). Per chi conosce Jorn, possiamo tranquillamente dire che la sua opinione non subirà mutamenti, un’ottima voce, un’ottima musica ed un ottimo senso degli affari. Se invece non avete mai conosciuto Lande, potete anche partire da qui, dopo essere passati ovviamente da 01011001.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco
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Tracklist
01. I Came To Rock
02. Rock And Roll Children (Dio)
03. The World I See
04. Burn Your Flame
05. Man Of The Dark
06. My Road
07. Time To Be King
08. Black Morning
09. Like Stone In Water
10. Vision Eyes
11. War Of The World
12. Behind The Clown
13. A Thousand Cuts
14. The Mob Rules (Black Sabbath)