Recensione: Symphony For A Hopeless God
Guardo fuori dalla finestra. Parigi d’estate non mi piace. Il caldo opprimente, i turisti anche. È il periodo perfetto per entrare in studio di registrazione. Perdersi in tutte quelle strumentazioni, in quei bellissimi suoni, sfinirsi con orchestrazioni perché hai in mente Mozart, ma alla fine ti basterebbe sfiorarne la grandezza per pochi istanti. Poi un messaggio, guardo il cellulare: “Richiamami”. Era uno della casa discografica. È successo di nuovo, ci ha lasciato… proprio ora. Odio l’estate a Parigi.
Non so sia andata così, però Vynce Leff (chitarrista e curatore delle parti orchestrali) se la deve essere vista brutta nell’avvicendarsi delle quattro cantanti, malgrado siano stati pubblicati tre album (più l’EP Daughter of the night del 2008) in sette anni, a nome Whyzdom. Le cantanti erano tutte donne e a Vynce piace il seguente profilo: Cercasi cantante donna di bella presenza che ami la musica sinfonica come il metal, dotata di voce lirica e che sia in grado di essere rock, possibilmente “hard” (aehm)… Ecco mi viene in mente una canzone dei cake «…I want a girl with a short skirt and a looooong jacket!» (“Short skirt / Long Jacket” dall’album Comfort Eagle).
Il destino, oppure più semplicemente il caso, vuole che all’ennesima defezione risponda Marie Rouyer. Ipotizzo che al provino il buon Vynce, con alle spalle una buona esperienza di produzione discografica, sia sobbalzato, trasalito, come avesse vinto un’Harley Davidson a Las Vegas giocando alle slot machine. Marie è perfetta: la sua voce suona rock, afferma Vynce, io mi sbilancio e dico metal. È, altresì, certamente lirica (mezzo soprano), bella e tendente al dark. Jackpot, dunque? Calma, dobbiamo ancora scoprire l’album e se l’ugola in questione funziona all’interno dell’alchimia dei Whyzdom.
Ah, vi ho già raccontato del nome della band? Vynce non trovava nulla di originale (tutto già preso…) e un suo amico storpia involontariamente la parola “wisdom”, pronunciandola male. A lui piace quella anomalia, suona bene. E diventa nome del gruppo e forse gioco di parole.
I Whyzdom proseguono nel creare metal sinfonico, mica si offendono se li definisci così, però Vynce Leff ci tiene a precisare che sono una Female Fronted Philarmonic Metal band (la fonte è il loro profilo Facebook). Per chi non abbia già cambiato pagina all’istante, il mastermind francese intende dire che la sua musica è un connubio inscindibile di metal e musica orchestrale: come se John Williams diventasse metal, capelli lunghi, borchie e tutto il resto, con abbondanza di distorsioni in “Duel of the Fates” (contenuto nella OST di Star Wars – Episode One). Mica male.
Symphony for a Hopeless God persegue l’intento ambizioso di diventare sinfonia metal, riproponendo quanto già fatto con i due album precedenti, tuttavia cercando di definire e consacrare la propria identità, dove il precedente Blind? del 2012 aveva stentato.
Il loro biglietto da visita è una copertina in cui il profilo di una statua di un Dio (Zeus, Poseidone o affini) greco trattiene nel palmo di una mano Marie per l’occasione tramutata in angelo. Un Dio che piange sangue su uno sfondo di magma e si mostra impietoso verso il destino degli uomini? Probabile. Di certo è ammirevole esempio di computer grafica e maestosa arte moderna.
Senza indugiare oltre, veniamo alla setlist.
La prima traccia dal titolo “While the Witches Burn” prende avvio con cori altisonanti, preludio all’oscurità ove violini malefici e note di piano fluttuanti proiettano ombre che si trasformano in orchestrazioni inesauribili e incensanti, a dialogare con le distorsioni di chitarra e una batteria ossessiva. E la voce di Marie? Reggerà la sinfonia orchestrata dal direttore Vynce Leff?
La cantante francese dà subito dimostra versatilità e capacità di dominare le note con una personalità non comune. Vi sono voci dannate (e mi ricordano quelle presenti in Burnt Offerings degli Iced Earth) e Marie diventa più inquieta. Non teme l’oscurità, ma la domina con eleganza. Si muove in chiave lirica in alcuni passaggi, in altri la sua voce aggredisce, ma è sempre ben controllata. Un inizio a dir poco brillante per i Whyzdom.
“Tears of a Hopeless God” segue le orme della prima traccia, cambia il tono, però, e la voce di lei dapprima inquieta, per poi aprirsi drammatica e teatrale, contrapponendosi a orchestrazioni sempre altisonanti e oscure in un crescendo di estrema enfasi. Dopo diversi ascolti, ti entra in testa e pare abbia intenzione di risiederci abusivamente in modo definitivo.
La terza traccia è “Let’s Play with Fire”, qui la voce di Marie gioca appunto con il fuoco, rimbalzando tra diversi registri per risultare ambiguamente rabbiosa nella prima parte, assumendo nel prosieguo sembianze scherzose all’apparenza, in realtà sinistre, come quella di una strega abbigliata per un concerto rock. E le partiture sinfoniche indugiano in riff più veloci su assoli con accenni blues. Sinfonia per streghe in bandana e pantaloncini attillati.
“Eve’s Last Daughter” si presenta apocalittica, la sinfonia composta dai Whyzdom stavolta è introdotta da un arpeggio per poi deflagrare in riff e detonazioni orchestrali. Qui la cantante francese in principio si muove in passaggi lirici sinistri, poi diventa mezzo soprano a dialogare con cori ancestrali espandendosi in una melodia, magari non immediata, ma di grande eleganza e armonia.
“Don’t try to Blind Me” è partitura breve di soli quattro minuti (contro una media di sei minuti per brano) esplicita rabbia contro la religione che acceca le umani genti. Nulla di più attuale per la Francia (e il nostro pianeta!) dei giorni attuali.
Nella sesta canzone, “The Mask”, torna ad allungarsi un mood teatrale e sinfonico che stavolta è impreziosito da un assolo di chitarra dal sapore ispanico. Poi è la volta di “Asylum of Eden”, brano sospinto verso l’alto da una voce che a tratti esplicita follia, rabbia e nessuno dice «We Lost…» come Marie. Il brano culminerà in un crescendo sempre più veloce e inquieto.
Gli ultimi quattro brani seguono le coordinate sinfoniche sin qui descritte, mostrando una capacità sempre notevole di sviluppare melodie, quasi mai immediate, di grande espressività e impatto. Chiude l’album “Pandora’s Tears” che è appunto somma di elementi e allo stesso tempo dipinge un mood più meditato, come se quelle lacrime si trasformassero in lampi di luce, dopo il lungo viaggio negli anfratti più remoti dell’umanità.
Facile smarrirsi nella musica proposta dai francesi. La lunghezza dei brani, le atmosfere sempre cupe e le orchestrazioni sono i loro tratti distintivi e richiedono tempo per essere assimilate, ma è anche questo che si cerca in un album metal. Al bando invenzioni giocose, facili o furbe: i Whyzom da sestetto francese diventano orchestra e Vynce Leff, il loro direttore, non trascura nulla: la produzione, mai banale in album così complessi, convince, riuscendo a trovare un equilibrio miracoloso tra le parti sinfoniche e quelle metal. La voce dotata di un’estensione mai fine a sé stessa, ma capace di un’espressività sorprendente, è l’arma definitiva. C’è solo da sperare che sopravviva alle fluttuazioni impietose del tempo. Mi sarebbe piaciuto sentirli anche in partiture più semplici creando anomalie nel continuo incedere sinfonico. Symphony of a Hopeless God, tuttavia, è davvero ben riuscito in ogni brano, il loro intento di creare sinfonie metal è centrato e con tutta probabilità il gruppo francese, con questo lavoro, riuscirà a fermare il metronomo implacabile del tempo, per imprigionarvi nell’ascolto di questa bellissima opera. Chapeau bas !