Recensione: Symphony for a Misanthrope
Sesto album ufficiale in una carriera ormai quindicennale per i fratelli Gardner, che fino a oggi si può dire non abbiano ancora sbagliato un colpo. Né, a conti fatti, lo sbagliano con questo Symphony for a Misantrope: un lavoro curato e di tutto rispetto, che saprà certamente conquistare i fan del genere. Purtroppo però, al contrario di quel che forse qualcuno si attendeva, non si tratta di un capolavoro. Due anni dopo il convincente Impossibile Figures, i Magellan si presentano infatti in grande forma, forti del carisma derivante dall’esperienza, tuttavia proprio là dove ci si attendeva la stoccata decisiva, ecco, si vede un colpo sì preciso ma prevedibile, incapace di incidere abbastanza a fondo. Ma andiamo con ordine.
La confezione è quella giusta per presentare un prodotto raffinato e di classe, con una copertina evocativa e in qualche modo inquietante, forse anche insolita, così come il titolo, per un album prog. La tracklist profuma di anni settanta, e preannuncia fin da subito quale menu ci sarà servito fra breve: sette tracce, di cui una lunga suite centrale che si propone come piatto forte, un paio di episodi più brevi perfetti per il ruolo di strumentali, quattro canzoni di durata intermedia (dai quattro agli otto minuti) a completare l’opera.
Cominciamo senza esitazioni proprio dalla portata principale, quella Cranium Reef Suite che col suo titolo inconsueto e i suoi diciotto primi di lunghezza attira inevitabilmente l’attenzione. La traccia si divide in tre parti: un’introduzione strumentale di buona fattura, in cui non si può non apprezzare la perfetta intesa tra chitarra e tastiere, qui predominanti, che va a sfociare in un piacevole pezzo prog rock – la parte centrale – in linea con lo stile della band. Fluido cambio di marcia e ha inizio la terza e ultima parte: le chitarre sembrano incattivirsi, ma le consuete tastiere, insieme a linee vocali particolarmente ispirate, smorzano decisamente i toni e riportano in auge sonorità più ariose e corali. Fino a qui tutto bene. Ma allora dove sta il problema? Il problema sta nel fatto che, sì, il brano è curato e intrigante, tuttavia intorno al quattordicesimo minuto sembra aver già detto tutto quel che aveva da dire, né basta un azzeccato solo di Wayne nella chiusura strumentale per mantenere viva l’attenzione. Anche se non per questo si può per questo arrivare a negare che la song sia complessivamente riuscita, se non fosse stato per una conclusione eccessivamente prolissa il bilancio finale avrebbe potuto essere ben diverso. Peccato davvero.
E il resto dell’album? Sul resto dell’album, sia chiaro, non si può assolutamente sorvolare. Le due strumentali sono veramente interessanti: la lunga intro Symphonette, in cui la parte del leone è interpretata dai mirabili intrecci di tastiere squisitamente sinfoniche e orchestrali, è una di quelle che non si lasciano saltare, mentre l’eloquente Pianissimo Intermission si rivela un pezzo più accademico – e i Magellan non sono nuovi a intermezzi di questo tipo – ma non per questo meno gradevole.
I momenti migliori poi si collocano poi nella prima parte del disco: la classe cristallina di Why Water Weeds? è una prova del talento dei due affiatatissimi fratelli che qui, grazie ai continui e repentini cambi di tempo e di atmosfera, danno prova di saper unire melodie avvolgenti a quella dinamica varietà invano anelata nella suite. Segue un brano semplicemente incantevole: tacciono le percussioni, Wayne imbraccia l’acustica e accompagna magistralmente Trent, ancora una volta diviso tra tastiere e voce. Ne esce Wisdom, un piccolo capolavoro acustico, garbato (e forte è il contrasto con il provocatorio testo) e dal feeling grandioso, che tocca nel refrain uno dei momenti più alti di tutto l’album.
Spiace doverlo dire, ma c’è anche una nota stonata. Risponde al nome di Doctor Connector, unico brano non all’altezza del nome della band. Qui i filtri vocali soffocano voce ed emozioni, mentre l’insistita ricerca di sonorità moderniste, peraltro del tutto fuori luogo nel contesto di un album come questo, si risolve sostanzialmente in un buco nell’acqua. Per fortuna ci pensa la raffinatezza di Every Bullet Needs Blood, di nuovo in linea con gli standard stilistici e qualitativi del marchio Magellan, a garantire un’uscita di scena adeguata.
Sarà chiaro a questo punto ciò che si era detto in apertura di recensione: gli ingredienti per un lavoro da incorniciare c’erano tutti, ma un colpo a vuoto (Doctor Connector) e uno, quello che si supponeva decisivo, non completamente a segno (Cranium Reef Suite) impediscono all’ album di staccarsi dallo stormo e raggiungere vette più elevate. Non impediranno tuttavia ai fan e agli amanti del genere di gustare a lungo una prova che rimane pur sempre di alto livello.
Tracklist:
1. Symphonette
2. Why Water Weeds?
3. Wisdom
4. Cranium Reef Suite
5. Pianissimo Intermission
6. Doctor Connector
7. Every Bullet Needs Blood