Recensione: Synchestra
La mente di Devin Townsend, si sa, deve avere disfunzioni non da poco
se è capace di partorire da ormai quindici anni dischi così alterati ed
alienanti, in cui la parola “genio” per una volta non va sprecata, e
saltellando tra i generi come una cavalletta nell’erba: Townsend è uno di quei
pochi, pochissimi artisti capaci di dire a ragione la classica frasetta “Le
definizioni non mi interessano, spetta a voi della stampa inventarle”.
E come dimostrarlo se non con un album che ripesca il meglio della sua
produzione più rilassata, ma forse anche più schizofrenica, reinventando
contemporaneamente tutto? Synchestra è infatti questo ed altro:
un contenitore della parte più pacifica, intima e forse anche fragile
dell’eccentrico canadese, ma anche un racconto capace di improvvisi sfoghi, di
esplosioni di suoni e colori repentini ed effimeri, ma ancora più fragorosi
nella quiete che lo pervade. È il rock, quello più progressivo e sperimentale,
la base per questo affresco; quel rock che ha tracciato le linee guida di un
album geniale (ops, viene naturale) come Infinity e che fa oggi
grande una Triumph, col suo riff tipicamente metal che si apre ad un
caleidoscopio di suoni in background, di arrangiamenti acustici, di tastiere
lievi. Quello che schizza una goliardica Vampolka, tra le sigle dei
cartoon e la polka tout-court, per poi fornire il suo contraltare ‘serio’ (ma si
fa per dire) con Vampira, cupa come potrebbe esserlo un fumetto
americano, con l’annessa quantità di ironia. Un episodio “urbano”,
notturno e violento (sentite lo screaming di Devin che torna a farsi sentire)
volutamente inserito al centro del disco, come una nuvola temporalesca che
interrompa la tranquillità di una gita in mezzo alla natura.
Natura che, con le sue atmosfere, la sua onnipresenza, la sua delicatezza,
sembra essere il vero filo portante dell’album, a partire dal bucolico artwork:
come non riconoscerlo in Gaia, vicina ai Pink Floyd ma ancora segnata
indelebilmente dal marchio © di Townsend? O in Pixillate, in cui
l’elemento umano torna a farsi preponderante, nell’andamento trascinato, a
sfondo etnico, e nell’elettricità che la percorre sino alla scossa data dalla
voce di donna che la squarcia? La verità è che si potrebbero spendere ore a
descrivere le singole sensazioni che un album come questo provoca e visualizza,
ma sarebbe probabilmente inutile. Come inutile e sterile sarebbe il soffermarsi
sui particolari tecnici di un disco di Musica senza confini, che può piacere
solo a chi ami l’espressione artistica in quanto tale, scevra da qualsiasi
limitazione opportunistica.
Un vero gioiello, che ci lascia con delle Notes From Africa e un
brivido continuato: il vero eclettismo e una capacità artistica avanti di
decenni (o forse indietro, o forse semplicemente fuori dal tempo) convivono in Devin
Townsend. A voi ora il compito di valorizzarlo, per non doversi sentire in
imbarazzo in futuro per non averlo fatto in tempo.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Devin Townsend – Vocals, Guitar, Computer
Ryan Van Poederooyen – Drums
Mike Young – Bass, Tuba, Stand-up bass
Dave Young – Keyboards, Grand Piano, Hammond, Mandolin, All guitars in “Sunshine”
Brian Waddell – Guitars
Additional musicians:
Steve Vai – guitar solo on ‘Triumph’
Daniel Young – tambourine in ‘Vampolka’
Rocky Milino – Dobro in ‘Triumph’
Additional vocals:
Heather Robinson, Deborah Tyzio, Chris ‘The Heathen’ Valagao, Mike and Beav in ‘Sunshine’
Tracklist:
1. Let It Roll 02:52
2. Hypergeek 02:20
3. Triumph 07:08
4. Babysong 05:30
5. Vampolka 01:36
6. Vampira 03:27
7. Mental Tan 02:15
8. Gaia 06:03
9. Pixillate 08:17
10. Judgement 05:55
11. A Simple Lullaby 07:09
12. Sunset 02:31
13. Notes From Africa 07:42
14. Sunshine and Happiness (2:35) (ghost-track)