Recensione: System Subversion
Sono passati ormai cinque anni da “Katarsis”, terzo full-length dei lombardi Methedras, uscito all’epoca con la Punishment 18 Records.
Cinque anni nei quali sono avvenuti alcuni cambi di line-up ma, soprattutto, una decisa sterzata in direzione di un sound il più moderno possibile; spingendolo con forza oltre il confine che separa il thrash dal death.
Non si può certo affermare che il neonato “System Subversion” (registrato all’inizio del 2014 nei Domination Studio da Simone Mularoni – Necrodeath, Bulldozer, The Modern Age Slavery, DGM – e al momento in cerca di una label), rappresenti una sorta di manifesto del death metal anni ‘10, essendo ancora presenti numerosi echi del primigenio sound ‘bay area-oriented’.
Tuttavia, appare altresì evidente un concreto avvicinamento all’industrial à la Fear Factory, giusto per fare un esempio (non) a caso. Senza che si addentrino troppo in tale ambito, Claudio Facheris e soci mettono sul piatto, comunque, uno stile piuttosto originale che presenta alcune caratteristiche peculiari del thrash ma soprattutto death in versione cibernetica. Come l’insistita sensazione di meccanicità che si percepisce in ogni momento del drumming, a volte sì veloce da forare la barriera dei blast-beats (“Subversion”). O le furibonde linee vocali dello stesso Facheris, incentrate su un roco e possente growling. E, ancor di più, l’utilizzo di sovrapposizioni pennellate con i synth, atte a materializzare l’inconfondibile mood del futuro post-nucleare (“Shit Happens”, “Blood, Oil & Vengeance”). Una base sulla quale, insomma, Eros Mozzi può erigere il suo immenso muro di suono, costruito mattone su mattone da una miriade di riff pesanti e compatti come il granito, precisi e taglienti come la lama di un bisturi (“Distorted Emotions”). Non mancando di arricchendone le pareti con eccellenti scudisciate soliste a mo’ di graffiti urbani. Il bombardamento a tappeto eseguito dalle linee di basso, inoltre, regala a “System Subversion” un sound esplosivo, devastante, da cui si evince ‘a pelo’ la grande esperienza del combo italiano, attivo dal 1996, nonché l’eccellente preparazione tecnica dei suoi quattro membri.
Mestiere e talento percepibili con facilità pure nel songwriting, maturo e deciso, capace di mettere in fila dieci brani dalla qualità costante, senza che siano presenti battute a vuoto, cioè, o – peggio – riempitivi. Nei quali appare azzeccato in pieno l’equilibrio fra potenza pura e armoniosità, seppure la melodia non sia un ingrediente principale della ricetta. Si possono allora citare pezzi trascinanti, dirompenti e, a loro modo, accattivanti. Come la violentissima “Deathocracy”, la cupa e visionaria “Thrown Away”, la dissonante “Brawl”.
È evidente che la ricerca di un’etichetta discografica per espandere il verbo dei Methedras non potrà durare che poco: “System Subversion” è un’opera che non ha nulla da inviare alle migliori produzioni del genere in ambito internazionale, in grado di competere con chiunque grazie alla tranquillità e serenità dei Forti.
Forza!
Daniele “dani66” D’Adamo
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