Recensione: Tage Mahal
Mi permetto qualche nota intruduttiva poichè, da fan dei Savatage, percepisco, come credo molti altri, preoccupanti moniti riguardo a una delle band più grandi della storia del metal. Nell’arco di pochi mesi due pedine fondamentali come Chris Caffery e Jon Oliva danno alla luce i loro album solisti, e queste due creature giungono dopo che la coppia ha contribuito insieme, negli ultimi 2 anni, al songwriting del progetto dell’ex cantante della band, Zak Stevens. Se poi si tiene conto che i Jon Oliva’s Pain hanno firmato per altri 2 album nei prossimi 2 anni, i dubbi sono più che leciti: ma la main-band? A quando l’uscita dei gloriosi Savatage, fermi a quel Poets & Madmen che aveva viaggiato ben sotto la media delle produzioni passate? Strano a dirsi, la risposta potrebbe essere proprio in questo Tage Mahal, il quale mostra cromosomi dannatamente Savatage in quasi ogni singola nota…
Immaginate un enorme teatro vecchio stile, vuoto. Un uomo sulla quarantina con qualche chilo di troppo seduto al piano, le luci basse e qualche musicista a fianco. Niente palchi con luci e scenografie. Niente folle esultanti. Eccovi la rappresentazione visiva di Tage Mahal, il quadro di un disco metal che dal metal prende le distanze.
Il primo passo solista del buon vecchio Jon si presenta nella maniera più classica possibile, con la splendida The Dark che subito mette in chiaro in chiaro i tratti dominanti: la voce di Oliva e il suo piano. Tratti che, come era logico aspettarsi, saranno il filo conduttore di tutto l’album. In evidenza in questa prima traccia troviamo anche le caratteristiche della dimensione musicale creata dai Jon Oliva’s Pain fatta, oltre che dalla micidiale accoppiata già accennata; di stacchi, ritornelli e scambi che strizzano l’occhiolino verso il musical e il teatro. Su questi binari correranno altre tracce, come le bellissime Walk Alone e Guardian Of Forever, episodi tremendamente Savatage, dove Oliva alterna magistralmente parti più solari a tipiche melodie malinconiche al limite della ballad, dando sfoggio della sua grande capacità di creazione/gestione di questo tipo di atmosfere, personale marchio di fabbrica del musicista americano. Fortunatamente lo stesso discorso possiamo allargarlo ad altri piacevoli e riusciti pezzi dell’album come The Non Sensible Ravings Of The Lunatic Mind o alla grande Father Son Holy Ghost, uno degli apici del platter per quanto riguarda l’interpretazione vocale del Mountain King.
Ennesimi esempi di quanto Sava-sound pervada questo Tage Mahal sono All The Time, altro pezzo da brividi, e Nowhere To Run che rimanda molto molto indietro, grazie a un binomio voce-chitarra che indirizza la mente a Sirens. Oliva mostra anche di saper uscire dalle vie già battute con Outside The Door e Slipping Away, più varie, atipiche e veloci, questi due frammenti si distaccano in parte da quanto analizzato finora. Come già detto in precedenza, ci troviamo con tanti passaggi e tanti pezzi che viaggiano su stilemi al limite della ballad. Per avere però la vera e propria ballata bisogna attendere Fly Away, ultimo pezzo dell’album, lento episodio a base di chitarra acustica, che detona nel finale nel tipico crescendo Savatage, morendo nello stesso arpeggio da cui aveva preso vita.
Fino a quanto descritto, tutto è fatto in maniera impeccabile. Se quel paio di pezzi lasciati da parte fino ad ora procedessero così, questo sarebbe (anche se probabilmente lo è lo stesso) uno dei principali candidati come miglior uscita in ambito classico del 2004. Stupendi i duetti piano-voce, e coinvolgenti le atmosfere create da coordinate stilistiche che non si distaccano mai troppo dai quelle dei Savatage, facendo di Tage Mahal un incontro tra quanto sentito in album come Dead Winter Dead, The Wake Of Magellan, Handful Of Rain uniti a tanto tanto Streets, dal quale Jon Oliva rispolvera la sua splendida graffiante voce e la sua mai nascosta passione per la teatralità. Attenzione però a non fraintendere le mie parole. Questo lavoro non contiene per nulla brani fotocopia nè di oggi nè di ieri. Una delle doti di questo artista è proprio il saper pescare dal suo cilindro idee sempre nuove.
Purtroppo però l’album presenta, almeno a parere di chi scrive, due passi falsi che ne danneggiano l’immacolata ispirazione. Si tratta di Pain e No Escape, dove la chitarra dal suono e dal riffing troppo orientato al moderno e un piano praticamente inesistente finiscono col mettere in secondo piano le poche idee buone, rompendo l’incantesimo creato dagli altri brani.
In conclusione, nessun dubbio. Questo potrebbe essere benissimo un disco dei Savatage e probabilmente poteva essere il nuovo disco dei Savatage. Per i fan della band americana c’è l’obbligo di appuntatarlo come ‘must’, per gli altri invece c’è il vivo consiglio di dedicare tempo e denaro a questo platter. Di dischi così, di questi tempi, impossibile trovarne altri. Perché? Perché la genialità di Jon Oliva non è in discussione, né qui né altrove, né oggi né mai: la musica partorita dalla mente di questo personaggio è più unica che rara, e questo Tage Mahal ne è l’ennesimo esempio.
Tracklist:
01. The Dark
02. People Say – Gimme Some Hell
03. Guardian Of Forever
04. Slipping Away
05. Walk Alone
06. The Non Sensible Ravings Of The Lunatic Mind
07. No Escape
08. Father, Son, Holy Ghost
09. All The Time
10. Nowhere To Run
11. Pain
12. Outside The Door
13. Fly Away
Line Up:
Jon Oliva – voce
Matt La Porte – chitarre
John Verner – chitarre
John Zahner – tastiere
Kevin Rothney – basso
Chris Kinder- batteria
Alessandro ‘Zac’ Zaccarini
Per completezza di voci aggiungo una breve analisi del nostro vicedirettore Mauro Gelsomini, così da avere un parere da chi, a differenza del sottoscritto il quale divinizza i dischi degli anni ’80, è cultore dell’era Stevens: Il disco che Criss Oliva avrebbe voluto incidere è ora realtà grazie al fratello Jon, che qui riprende le sonorità dei Savatage più teatrali (Streets su tutti), mescolate con il pomp, sempre marcato Oliva, della TSO e, qua e là, con sferzate più potenti già ascoltate nel debut dei Circle II Circle. Dietro il sipario, la sapiente mano dell’altrettanto onnipresente O’Neill, a rendere lo stile inconfondibile. Voto: 77