Recensione: Take Me Back To Eden

Di Matteo Burchianti - 28 Giugno 2023 - 14:00
Take Me Back To Eden
Band: Sleep Token
Etichetta: Spinefarm Records
Genere: Progressive 
Anno: 2023
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
85

Apriamo gli occhi: intorno a noi il nulla. Sprazzi di memoria ci rimandano a quel giorno, a quei momenti in cui le nostre membra, in balia delle acque scure e tumultuose, venivano trasportate inesorabilmente nell’abisso. Era il 24 settembre 2021, e “This Place Will Become Your Tomb” avvolgeva l’ascoltatore in un manto leggero e claustrofobico di cui sarebbe divenuto il sepolcro.

Dopo due anni vissuti nel buio, in attesa di una fonte di salvezza, ecco che la figura mascherata di Vessel 1 torna a farsi sentire, pastore misterioso verso una terra benefica di pace. Ignari di cosa ci attende, possiamo soltanto affidarci alla sua parola, che attraverso “Take Me Back To Eden” ci mostra la nuova strada da intraprendere. Ma sarà realmente il nuovo Paradiso che tanto abbiamo desiderato?

Ancora immersi nell’abisso, riusciamo a riprendere conoscenza, almeno quanto basta per capire che non abbiamo via di scampo; raccolte le energie rimaste tentiamo qualche movimento, ma una forza estranea e misteriosa ci trattiene, quasi volesse intralciare la nostra risalita. “Chokehold” è infatti potente e al contempo asfissiante, degna apripista di un cammino che si prospetta tutt’altro che gentile, ma degno avversario col quale dovremo fare i conti. Tentando in ogni modo di ribellarci, sentiamo i muscoli abbandonarci e il fiato venire sempre meno, e l’impressione che l’ambiente intorno a noi ci sia minuto per minuto sempre più ostile, si palesa nelle note aggressive e dirompenti di “The Summoning”. Una creatura indefinita, multiforme, degna delle migliori storie di H.P Lovecraft, si frappone tra noi e quell’aria che tanto manca ai nostri polmoni ormai stanchi e morenti.

 

 

In una pressione che sale e ci schiaccia sempre più nella morsa dell’ignoto, ogni singola parte del nostro corpo sembra spezzarsi come un fuscello sotto il peso della neve invernale: i nervi hanno ormai perso ogni sensibilità, siamo incapaci di muoverci. La terza traccia dell’album “Granite”, con le sue note leggere tendenti all’elettro pop, fa da teatro alla nostra apparente uscita di scena, che si dimostrerebbe platealmente scenografica, come dimostrato nei minuti finali di questo brano così sperimentale. Se fino a questo momento ci eravamo persi d’animo, per un attimo riacquistiamo il lume della ragione, e come travolti da un impeto frenetico, ci divincoliamo a quella creatura aberrante che stava per darci la morte.

Aqua Regia” suona confortevole e amica, come un canto rigeneratore, pronto a ripulire l’oscurità che ci stava avvolgendo fino a questo momento: musicalmente appagante, caratterizzata dalle sue tinte pop accompagnate da un bellissimo frammento di pianoforte, è finora la traccia più lenta della nuova fatica degli Sleep Token. Illudendoci di poter riprendere il nostro tragitto verso la salvezza, qualcosa di sinistro ci destabilizza di nuovo e un’eco in lontananza, profondo come le acque nelle quali siamo immersi, pronuncia parole gemelle alle condizioni in cui verte da tempo la nostra mente: «Are you in pain like I am?».

Di nuovo il panico, con “Vore” che si apre con la furia dirompente di un growl che pare venire direttamente dagli inferi: unendo sapientemente le due tecniche vocali (clean e growl), in questo pezzo la band riesce perfettamente a trasmettere all’ascoltatore la sensazione delle profondità marine, cupe e silenti, ma allo stesso tempo dirompenti e pronte a colpire chiunque si ritrovi a naufragare in questo ascolto imprevedibile.

Inermi e stremati ci abbandoniamo nelle mani di questo nuovo nemico, lasciandoci andare all’idea che ormai sia davvero tutto finito; ecco però che qualcosa di veramente inaspettato si presenta all’ascoltatore: “Ascensionism” si palesa come un angelo benefattore, bellissimo e dannato allo stesso tempo, puro e corrotto come i peggiori demoni. La traccia si apre con una base melodiosa di pianoforte e la voce leggiadra di Vessel che pare rassicurarci, promettendoci che questo male sta per giungere al termine, che seguendolo raggiungeremo una nuova meta salvifica; ma ecco il colpo di scena: come nei migliori dissing tra rapper di strada, il nostro salvatore ci rimprovera per le nostre gesta, e siamo catapultati in un momento di puro hip/pop che ci lascia senza parole.

Risulta sempre più evidente l’importanza che la band dà alla sperimentazione musicale, unendo molteplici sottogeneri seppur così diversi tra loro: il risultato, sicuramente non semplice da assimilare, è un azzardo simil-Frankenstein in piena regola, spaventoso ma affascinante in egual misura. Affidata la nostra vita alla misteriosa figura, iniziamo la nostra ascesa all’Eden, mentre la memoria vaga tra i ricordi dell’incubo dal quale stiamo finalmente sfuggendo. “Are you really okay?” è una colonna sonora perfetta, che ripercorre ogni istante del dolore vissuto finora, proiettando fotogrammi di ricordi come un film che lascia lo spettatore attonito e col fiato sospeso in attesa del finale.

Man mano che procediamo fuori dall’abisso, lo scenario muta drasticamente: alle profondità marine si sostituiscono nuvole leggere, oltre le quali nessuno sa cosa si celi: “The Apparition” fa da apripista a un mondo nuovo, presentandosi come una delle migliori tracce dell’intero album, con le sue sfaccettature sempre azzeccate di pop, alternative e velate venature di elettronica. La meta tanto agognata non è così lontana. “Dywtylm”, traccia totalmente R&B, ricorda moltissimo l’approdo dei quattro amici animali naufraghi nel cartone animato Madagascar, accolti dalla popolazione di lemuri danzanti a ritmo di musica; allo stesso modo l’ascoltatore viene trascinato come da un bit ipnotico, che rende impossibile frenare l’istinto ballerino che risiede in ognuno di noi. È deciso: entreremo in Paradiso danzando.

Finalmente al sicuro, ci apprestiamo a valicare i cancelli, danzando come matti ubriachi di entusiasmo e adrenalina, quand’ecco che una pioggia fresca si abbatte sulle nostre membra stanche: “Rain” riprende a piene mani le molte facce delle ultime tracce, attraverso l’uso sapientemente calcolato dell’R&B che, mescolato al Djent, fa affiorare alla mente l’immagine di una cerimonia religiosa d’accoglienza. Ci sentiamo rinati, permeati di un’energia nuova, pronti finalmente alla nostra nuova vita: dopo dieci tracce impegnative e molto variegate, siamo giunti al picco massimo di questo album. “Take Me Back To Eden” ha tutto quello che una titletrack dovrebbe avere: il viaggio intrapreso permea ogni nota, con tutti i generi precedentemente uditi racchiusi in 8:20 di una delle tracce più belle mai incise dalla band londinese.

La melodia della intro si accosta alla perfezione con l’R&B di metà traccia, ricordandoci ancora come il metal possa vivere anche di sperimentazione, dando così vita a nuove e meravigliose creature musicali. Non manca, in chiusura, la potenza esplosiva del growl già ascoltato in altri momenti, caposaldo del nostro amato metallo. Arrivati al termine del nostro cammino, di questa rinascita, “Euclide” pare rievocare ogni istante vissuto, riportando alla mente ricordi che forse volevamo solo dimenticare. Sono trascorsi ben due anni dal meraviglioso abisso in cui siamo stati trascinati da “This Place Will Become Your Tomb”, e con non poche difficoltà siamo ascesi in una nuova realtà con questo “Take Me Back To Eden”, che al netto delle sue potenzialità ci regala un viaggio appassionante e con picchi di un livello veramente altissimo.

Gli Sleep Token si affermano come una delle migliori realtà nel panorama del metal moderno, accompagnando l’ascoltatore tra abissi e cieli angelici, mantenendo però i piedi ben saldi.

Ultimi album di Sleep Token