Recensione: Tales from Beyond
Nuova uscita discografica per i tedeschi Mob Rules: una band che probabilmente non figurerà tra le più note al pubblico nell’ormai folto ambito del power metal teutonico, ma che dal canto suo vanta oltre un ventennio di carriera, celebrato appena due anni fa con una succosissima raccolta dal titolo “Timekeeper – 20th Anniversary Box”. I “ragazzi” (il virgolettato, l’avrete capito, è d’obbligo), tuttavia, per una qualche oscura ed inspiegabile ragione, sembrano aver perso il treno dello Zeitgeist (e poi dicono che in Germania i treni sono sempre puntuali!), che li avrebbe condotti ad un successo per molti versi meritato. Dal canto loro i Mob Rules non sembrano voler aggredire il mercato con la voracità dei tanti gruppi che pubblicano un disco ogni dodici mesi infischiandosene della qualità del materiale proposto; giungono infatti con “Tales From Beyond” all’ottavo album di questa lunga carriera, ben quattro anni dopo il buon “Cannibal Nation” (2012).
Presentare un disco power metal nella seconda metà del secondo decennio degli anni 2000 non è un compito facile; sono tante le band che hanno affrontato profonde virate stilistiche per non restare troppo uguali a sé stesse o per non rischiare di rimanere intrappolate in un sottobosco di stereotipi. C’è chi si ha rallentato i tempi verso un hard rock radiofonico come Tobias Sammet, chi ha spinto verso intricate complessità orchestrali come i Blind Guardian, e chi, come i giovani Gloryhammer (o alcuni esperimenti degli Stratovarius), hanno preferito innestare elementi di musica elettronica. Per i Mob Rules nulla di tutto ciò: coraggiosi ed impavidi i teutonici hanno preferito restare fedeli al metallo tradizionale, declinando il proprio power metal talvolta verso lidi più melodici, senza mai rinnegare l’anima heavy degli anni ottanta e dei mostri sacri del Metallo.
Nasce così la lunga ed epica “Dykemaster’s Tale”, brano introduttivo del disco con innegabili influenze direttamente dagli Iron Maiden, con l’arpeggio riverberato caratteristico dei britannici nelle fasi soft, l’accelerazione con cavalcata, il riffing incrociato delle due chitarre soliste ed il ritornello anthemico.
Accompagnata dalle cornamuse segue un altro pezzo heavy come “Somerled”, seguito dalla melodica “Signs” nella quale sembra di sentire echi dei Savatage. Protagoniste assolute le chitarre di Matthias Mineur e Sven Lüdke, in assoluta sinergia in tutti i brani del platter. Ottima anche l’interpretazione di Klaus Dirks, convincente dalle parti più aggressive a quelle più alte.
Parte centrale più powerella con la helloweeniana “On the Edge” (scelta meritatamente come primo singolo), tra le migliori proposte del disco col suo ritornellone da cantare in allegria… un po’ come quello della successiva “My Kingdom Come”, altro pezzo happy e positivo con numerosi cambi di tempo. Un po’ sottotono “The Healer”, per poi tornare scuotere i capoccioni con l’headbanging sfrenato di “Dust of Vengeance”, indiavolata nella strofa ma debole nel refrain. Solos come sempre impeccabili.
Chiude il disco un trittico in pieno stile Mob Rules: un brano in tre (o tre in uno, dipende dal punto di vista) per “A Tale From Beyond”: una sorta di non-titletrack(s) della durata di quattordici minuti nel quale i teutonici ci ricordano il loro desiderio monumentale, un po’ come l’artwork del disco, di raccontarci una storia. Al solito, questo lungo brano non piacerà a tutti, scontentando chi desidera una musica più diretta, ma provocando altresì grande godimento per chi adora assaporare il lungo viaggio delle emozioni nel bel mezzo dell’avventura. Insomma, la parte 2 “A Mirror Inside” sarà anche lo spartiacque tra gli ascoltatori.
Molto gradita la traccia di chiusura per salutare con un bis inaspettato al termine dell’opera: una nuova versione del classico “Outer Space”, brano divertentissimo col suo ritornello effettato, attinto dal buon vecchio “Temple Of Two Suns” (2000), secondo lavoro in studio della band.
“Tales From Beyond” è un ottimo disco di heavy-power metal melodico: sincero, onesto e genuino come da buona tradizione in casa Mob Rules, permeato da quell’atmosfera pulsante di positività, calore ed epicità che spesso ricerchiamo nella nostra musica preferita. Pur non inventando niente di nuovo ed attingendo a piene mani dai mostri sacri del passato, l’ascolto è piacevole e la narrazione efficace: traspare infatti tutta la passione della band per raccontare storie avvincenti attraverso una musica studiata, arrangiata e cesellata ad arte – come gli antichi bardi di una terra lontana armati di chitarre elettriche, in bilico tra il mondo delle cose e l’oltremondo, tra la storia e il mito, tra la realtà e la leggenda.
Luca “Montsteen” Montini