Recensione: Tales from the Soul

Di Riccardo Angelini - 22 Settembre 2005 - 0:00
Tales from the Soul
Band: Novact
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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80

Nel corso degli ultimi dodici mesi non sono stati pochi i debutti interessanti in campo progressivo: tra i tanti spiccano in particolare quelli degli scandinavi Circus Maximus e degli statunitensi Cea Serin, autori di prove molto differenti tra di loro – derivativi ma a dir poco spettacolari i primi, più eclettici e innovativi i secondi – ma accomunate da una qualità decisamente alta. A questi non mi resta oggi che aggiungere gli olandesi Novact, autori di un full-length decisamente originale, molto interessante e che con un eufemismo si potrebbe definire promettente.

 

Tales from the Soul (for Those Who Understand) è il titolo, provocatorio e audacemente sfacciato, scelto da una band che dimostra subito di saper sostenere le parole con i fatti. Difficile collocare il suono dei Novact in una corrente definita: forse il termine di paragone più prossimo potrebbe essere quello degli Evergrey, anche se non poche differenze intercorrono tra lo stile della band scandinava e quello del quintetto fiammingo. Né d’altronde sarebbero più esaurienti i confronti, pur spontanei, con Pain of Salvation e Nevermore, band certamente diverse l’una dall’altra ma che pure in qualche misura paiono aver lasciato entrambe una traccia decisiva nella nascita del suono della neonata formazione dei Paesi Bassi.

E forse uno degli elementi che maggiormente contribuiscono a complicarne la collocazione è rappresentato dalla prova vocale di Eddy Borremans. Un timbro, il suo, lontanissimo dagli standard del genere, e a dirla tutto lontano dagli standard del metal in senso lato. Pieno, pulito, un po’ nasale, non particolarmente esteso e anzi sovente alle prese con (non facili) tonalità medio-basse, ma tecnicamente molto valido e sorprendentemente carismatico: Eddy riesce subito a calamitare su di sé l’attenzione snocciolando melodie intense e apparentemente immediate. Apparentemente: se infatti è vero che anche un ascolto distratto non impedisce di gustare un’assortita sequela di refrain piuttosto accattivanti, è altrettanto vero che a un ascolto più approfondito (preparate le cuffie) le linee melodiche si rivelano ben più studiate e complesse di quel che era apparso in principio.

Un attento equilibrio tra riff energici, evocativi, e catene di assoli intrecciati di chitarra e tastiera è la ricetta chiave dei brani più riusciti, su tutti Hope and Fear, la cui prima strofa di tensione trepidante trova sfogo nell’ampia distensione del chorus per ricostruirsi poco alla volta nel breve break strumentale, in un alternarsi ciclico che si sublima in un finale di aperta potenza. Ma la palma di hit dell’album non è di facile conquista, soprattutto quando alla contesa prendono parte pezzi eccellenti come la sofferta Path of Daggers o l’opener Sharply Condamned, rabbiosa ma quasi rassegnata nel suo incedere duro e implacabile. Spadroneggiano ovunque stranianti atmosfere crepuscolari, che si diffondono placidamente nello spazio e circondano l’ascoltatore sprofondandolo in una dimensione aliena, mistica e futuristica, vero e proprio marchio di fabbrica del quintetto d’Olanda. Infatti, che si volga l’orecchio al moderno romanticismo di Flower o alla sperduta drammaticità di Nothing Worth Fighting for, il sound rimane uno e ben riconoscibile, derivato – non derivativo – da realtà già affermate e rigenerato in modo del tutto originale.

 

Certo, quest’omogeneità sonora, per quanto lontana da stereotipi, rischia di diventare un’arma a doppio taglio, perché i brani di minor pregio finiscono di fatto per ricalcare la struttura di quelli più riusciti, senza raggiungerne i livelli. Strano riscontrare un simile difetto in una band esordiente: alle più usuali crisi d’identità legate a sound sovente poco personali, il combo fiammingo sostituisce una ripetizione ostinata di un proprio schema distintivo – limite che in genere affligge prevalentemente formazioni con diversi lavori alle spalle. Ma sicuramente è prematuro porsi problemi di questo tipo, mentre è importante mettere in luce la personalità di un gruppo che si può già vantare di un’identità forte e di un’invidiabile maturità. Questi ragazzi hanno tutti i numeri per sfondare e nessuna voglia di perdere tempo, se saranno capaci di confermare quanto di buono mostrato in quest’ottimo debutto, non è lontano il giorno in cui potranno trarre grosse soddisfazioni nella scalata di quella variopinta e spigolosa piramide musicale che è il prog metal.

 

Tracklist:

  1. Sharply Condamned (4:32)
  2. Hope and Fear (5:32)
  3. Eteral Life (5:21)
  4. Path of Daggers (4:51)
  5. So Help Me God (6:59)
  6. Flower (5:03)
  7. The Rider (3:49)
  8. Nothing Worth Fighting for (4:19)
  9. Promises (6:00)
  10. Bad Religion (5:36)

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80