Recensione: Tales From The Sun
Tornano, a distanza di cinque anni dall’uscita del precedente lavoro, i nostrani Lost Moon ed è un piacere ritrovarli sulle pagine di Truemetal dopo aver avuto occasione di recensire il debut album autoprodotto e il successivo “King Of Dogs“, oltre che di assistere, di fatto, ad una crescita musicale non indifferente che prende le mosse addirittura dai lontani anni ’90 per arrivare fino ai giorni nostri.
Da allora la formazione è rimasta invariata, con Stefano Paolucci alla voce e alla chitarra, il fratello Pierluigi alla batteria e Adolfo Caliandro al basso; altrettanto invariato rimane, inoltre, il fortissimo tratto distintivo costituito dalla commistione tra Metal, percussionismo tribale (sempre appannaggio del fido Francesco Panarese) e fughe psichedeliche degne di certo Space Rock. A parità di ingredienti (e di componenti), oggi, è viceversa il dosaggio a cambiare, sicchè il nuovo “Tales From The Sun” tende a mettere un po’ da parte le sonorità di matrice stoner per dare vita ad un Heavy Metal moderno, robusto e fortemente improntanto alla contaminazione di generi, come peraltro dimostrano le frequenti incursioni in territori assimilabili di volta in volta al groove e all’alternative metal. Tanta carne al fuoco, insomma, eppure cucinata e confezionata con gusto, dovizia e cura certosina per i dettagli da parte di musicisti di buonissimo livello tecnico e pure dotati di abilità compositive non indifferenti.
Venendo alle canzoni, dal punto di vista generale va detto che quelle dei Lost Moon sono subdole (Dr. House docet, NdJ) ed insinuanti, più che ariose ed “in your face”. Questa caratteristica andrà, con ogni probabilità, ad influire negativamente sui primissimi ascolti, salvo poi rivelarsi, al contrario, un’arma assolutamente vincente sulla lunga distanza, laddove le particolari trame intessute dai tre beneventani lavorano al servizio della longevità delle otto tracce di cui si compone l’album. “Adrenaline’s Flowin“ apre le danze all’insegna di un heavy/groove a tinte alternative retto da riff arcigni e ritmiche incalzanti di memoria Alter Bridge, sulle cui note si staglia la voce acuta e Ozzy-ana di Stefano Paolucci. La somiglianza tra il timbro vocale di Paolucci e quello del Principe delle Tenebre viene addirittura accentuata con la spettacolare title track, nella quale l’orditura pesante, oscura e a tratti addirittura epica, vagamente Alice In Chains, viene valorizzata da un refrain in crescendo che non fa prigionieri. La terza in scaletta, “Lay Your hands Down On Me“, è molto particolare eppur riuscita: scandita da ritmi tribali e caratterizzata dal ricorso a vocals filtrate, spiana la strada all’ottima “The Path I Walk”, un brano semiacustico dall’andamento ipnotico che spezza il ritmo in maniera perfetta mettendo, ancora una votla, in risalto le interessantissime linee melodiche oltre che l’ottimo lavoro di chitarre e sezione ritmica, impegnate su tonalità oriental/etnicheggianti.
Di nuovo heavy/alternative metal dominato da chitarre granitiche nell’oscura e irresistibile “Event Horizon”. Il pre-coro e il ritornello sono ancora una volta all’insegna del lavoro ai fianchi più che dell’impatto diretto, mentre l’assolo ricorda molto da vicino Mark Tremonti e i suoi Alter Bridge, una miscela vincente che tiene alto il livello e traghetta l’ascolto verso un finale affidato alle altrettanto meritevoli “Burn America” e “Building A New Wall”, due ulteriori esempi di heavy metal moderno fatto come si deve.
Resta poco altro da aggiungere ad un lavoro realizzato con grande cura e in maniera molto professionale da musicisti preparati e in grado di imprimere un tocco decisamente personale ad una proposta sulla carta non troppo fuori dai canoni. Bene così, e viste le premesse, per il futuro è lecito aspettarsi ancora di meglio.
Stefano Burini
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