Recensione: Tales Of A Future Past
Spesso avrete letto la definizione di “criminally underrated” associata al nome di qualche band, quel “criminalmente sottovalutata” che sta ad indicare quanto meritevoli e talentuosi fossero alcuni musicisti e quanto questo merito non sia stato riconosciuto loro per mille ed uno motivi, disattenzione, pregiudizio, fase storica avversa e chi più ne ha più ne metta. Nella categoria appena menzionata rientrano a pieno diritto i Mekong Delta della Renania settentrionale-Vestfalia, complicati sin dalla regione di provenienza, un’area nel cuore della Germania che col suo bel trattino diventa una calzante allegoria della storia dei Mekong Delta. La band tedesca quel trattino lo ha avuto impresso nel dna da sempre, da subito. Emersi nella seconda metà degli ’80 (il debutto omonimo data 1987) si sono immediatamente distinti per essere altro ed oltre, thrash metal “e qualcos’altro”, sonorità mitteleuropee “e qualcos’altro”. Nel loro sound c’è sempre stato quel “qualcos’altro” che li ha resi sfuggenti, poco domabili, esigenti; se lo spettatore voleva capirli, afferrarli appieno, addentrarsi in tutte le livree del loro spettro, sonoro doveva infatti accingersi ad un ascolto complesso, stratificato, affatto banale, sia da un punto di vista musicale che testuale. Nel decennio trascorso tra il 1987 ed il 1997 il gruppo ha pubblicato con una certa costanza album dopo album, raccogliendo spesso e volentieri il plauso della critica, creandosi uno zoccolo duro di “iniziati” disposti a seguire i Mekong Delta in capo al mondo, ma non è mai riuscito a fare breccia nel gotha universalmente considerato tale delle band progressive thrash come Voivod e Coroner, per citare due tra i nomi più importanti e rappresentativi. Non sono gli unici ad aver percorso questi ingrati sentieri del Fato, si potrebbero citare ad esempio i Watchtower – autentico culto per qualcuno – anche se i texani hanno avuto vita breve ed una produzione discografica assi più ristretta, oppure, gli Anacrusis (4 album), i Deathrow (molto thrash, qualche elemento prog sul finale di carriera), i Believer (antesignani del metal “classico”), gli Obliveon (traghettati troppo frettolosamente verso influenze groove e moderniste). Atheist e Cynic sono arrivati un po’ dopo, o perlomeno hanno affermato la loro formula compositiva più in là.
I Mekong Delta la loro onesta carriera non l’hanno mai mollata, riprese le attività nel 2007 (con quel 7 a scandire i decenni che ritorna ciclicamente), hanno pubblicato altri 5 nuovi album, dei quali il qui presente “Tales Of A Future Past” è l’ultimo in ordine di arrivo. Va anche detto che della line up originale oggi abbiamo il solo bassista Ralph Hubert (che all’epoca appariva accreditato come Björn Eklund), membro fondativo ed eminenza grigia del project L’immancabile artwork “lovecraftiano” (una compagnia costante nelle atmosfere e nei costrutti sonori della band), introduce l’ascoltatore ad un album – manco a dirlo – ambizioso, evocativo, intellettuale e cerebrale. Una nuova sfida, come quelle che si prefissavano appunto gli umani che intendevano entrare in contatto con i Grandi Antichi… ma il loro esito solitamente era la follia inesorabile. Per fortuna con i Mekong Delta il traguardo al quale tendere è molto più prosaico, gratificazione dei padiglioni auricolari, soddisfazione del proprio spirito, una corroborante energia, positiva e rinfrancante che ci permette di apprezzare una volta di più l’operato di questi pionieri del metal indirizzato verso la sensibilità e la struttura di composizioni classiche (non va dimenticato che nel ’97 i Mekong Delta celebreranno Mussorgsky con la sua celebra composizione pianistica che porta lo stesso nome (1874). “Tales Of A Future Past” è un lavoro omogeneo e coerente, suddiviso in sei tracce, a loro volta precedute (o seguite) – dipende dalla prospettiva – da quattro “paesaggi” strumentali, che in alcuni casi fungono da vere e proprie intro (“Landscape 1- Into The Void“) ma altrove costituiscono momenti fondativi dell’intero concept, semplicemente deprivati di liriche ed affidati unicamente alla strumentazione della band, altrettanto eloquente ed espressiva, se non di più. I trademark del Mekong Delta sound si ritrovano abbastanza agilmente lungo la strada, nei 55 minuti circa di durata, sebbene rispetto al passato la componente thrash si sia alquanto edulcorata lasciando il campo pressoché tout court ad una fisionomia progressiva che si fonde inestricabilmente con l’heavy metal.
“Tales Of A Future Past” è un lavoro potente e incredibilmente ispirato. Impressiona la freschezza immutata di una band che attraversa il music business da oltre 30 anni, ma che con estremo agio è ancora capace di pubblicare album di grande fascino e inventiva, risultando credibile, al passo con i tempi, originale e personale. C’è da scalare la vetta della piramide da parte dell’ascoltatore, ma l’impresa è alla portata ed è sempre e comunque piacevole. Certo, l’ascesa e a zig zag, tortuosa, richiede concentrazione, ma la band non fa sfoggio pavonesco di perizia tecnica e mantiene il “corpus” sempre compatto e scattante; si assapora volentieri ogni passo posato su questa vertiginosa architettura, ogni nuovo gradone ci innalza di un metro in più, fino alla cima, dalla quale la visuale sui mondi onirici, occulti ed misterici dei Mekong Delta è impareggiabile e con pochi termini di paragone. La traccia che si incarica di chiudere il disco, “Landscape 4 – Pleasant Ground” è sostanzialmente un rifacimento in chiave Mekong Delta di “Sevilla“, uno degli otto brani che compongono la “Suite Española“, composizione per pianoforte di Isaac Albéniz, pubblicata postuma nel 1912 (al quale sono stati attribuiti con certezza solo 4 degli 8 brani della suite, tra questi anche “Sevilla“), a testimonianza ulteriore dello spessore intellettuale della band tedesca.
Marco Tripodi