Recensione: Tales Of Galilea
Gli Apocryphal nascono nel 2013 dalle menti di Fabio Poltronieri (chitarra) e Gianmarco Bassi (voce), a cui poi si sono uniti Diego Gini (batteria) e Matteo Baroni (basso). Il concetto alla base del progetto è il racconto e la trasposizione in chiave sonora e musicale di episodi (appunto) apocrifi, in qualche modo rinnegati e sepolti nelle cripte del rifiuto del canone episcopale. Dopo un EP del 2015 ed il primo full lenght nel 2018, il quartetto di Verona apre il 2022 con l’album “Tales of Galilea”.
Il lavoro si apre con “We Raise the Sword of Uriah”, che mette subito le cose in chiaro: stile, approccio e sonorità che più classiche non si può: ottimo biglietto da visita per un brano semplice ma efficace e con un’ottima dinamica. “Trust No God” offe premesse più movimentate, regalando inizialmente un brano più vivace e tagliente, che poi si evolve pian piano. Anche qui dinamica ottima: l’impressione è che venga utilizzata (volutamente) scarsa elaborazione tecnica abbinata però ad una grande cura compositiva, che rende i brani incredibilmente fruibili. Nel resto del disco il leitmotiv rimane sempre lo stesso, come anche il livello qualitativo: creatività al servizio dell’ascoltatore. Unica nota leggermente stonata è forse “Blood Calls”, che infatti risulta essere il brano un po’ più elaborato del lotto; caratteristica che lo rende in parte indigesto. Gradevole il posizionamento di brevi interludi che aumentano d’intensità man mano che si progredisce nell’ascolto, trovata che dà all’ascoltatore anche una dimensione “spaziale” dell’opera (prima – seconda – terza fase).
Il 2022 inizia con i migliori propositi (per lo meno musicalmente parlando): a Verona nasce un disco molto interessante per il concept e piacevolissimo all’ascolto, che procede fluido ed interessato. Prova di livello che potrebbe dar vita ad un ciclo virtuoso per il black metal a tinte tricolori, che già lo scorso anno ha saputo regalarci qualche perla. Bravi.