Recensione: Tales Of The Sands

Di Tiziano Marasco - 8 Febbraio 2016 - 13:00
Tales of the Sands
Band: Myrath
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2011
Nazione:
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84

Un esercito di filosofi non sarà sufficiente a cambiare la natura di un errore e renderlo verità.

Lo diceva un altro filosofo, l’arabo Averroè. E in un periodo in cui di errori, o pregiudizi, ci cibiamo quotidianamente, la frase è quantomai vera. Avreste mai detto che dai paesi considerati arretrati e chiusi come quelli arabi avrebbe potuto venire del metal, non dico normale, non dico di qualità, dico proprio pregevole e innovativo in senso assoluto? Probabilmente no. E qui è l’errore di cui Averroè. È bastato un esercito di filosofi a cambiarlo? Ovviamente, ancora no. Sono bastati però quattro ragazzi tunisini, che non paghi di aver fatto del metal, e di averlo fatto di qualità, sono anche riusciti a improntarlo alle linee languide e sognanti tipiche della musica araba.

Quei quattro ragazzi tunisini sono i Myrath, e l’album in cui l’errore è stato totalmente annichilito è Tales of the sands.

“Ma che bella copertina. Che bei colori, che bell’immagine. È anche dipinto a mano. Quasi quasi ci do un ascolto… sentiamo un po’… miseria che tamarrata! Ma è una tamarrata che può funzionare eccome!“ Non so quanti ascoltando i primi secondi di Under siege, opener del summenzionato Tales of the sands abbiano avuto questa reazione, ma per me è andata così. Ero al lavoro e stavo finendo di sentire per la centesima volta un altro discone con una copertina immaginifica, che al tempo era uscito da pochi mesi – Portal of I dei Ne Obliviscaris. Tales, quel giorno, me lo consigliò il tubo, e l’accostamento all’opera prima degli australiani, ammettiamolo, si rivelò piuttosto azzeccata. 

Strano ma vero, lo strano miscuglio di riff muscolari, da progressive metal in odor di hard rock arcigno, unito ad orchestrazioni orientaleggianti che mi riportavano alla mente lo Sting di Desert rose (e va beh, scusatemi!) e un cantato sì metal,ma ancora virato all’arabo e impreziosito da backing vocals femminili, non potevano che farmi pensare a un cocktail tamarro. Eppur vincente, e per una serie di motivi. Lo strano intreccio di generi infatti era supportato da una impressionante solidità e da un songwriting più che onesto per tutta la durata dell’album, sicché le tracce finivano per lasciare il segno. Il tutto condito a numerosi refrain che definire micidiali è a dir poco riduttivo. Impossibile non citare l’incredibile climax, prima sofferente e poi drammatico, di Braving the seas, o di Merciless times, singolo estratto a pieno merito e tra le assolute vette di un album in cui effettivamente non registra cali di qualità. 

E che dire della languida title track o dell’incalzante Beyond the stars, che, con una naturalezza disarmante, inseriscono strofe in arabo in un genere che con questa lingua ha poco o meno in comune. Tales of the sands è un album che riserva sorprese ad ogni secondo, tecnico eppure dotato di una coloratissima immediatezza che in pochi album prog si era sentita (e vengono inaspettatamente alla memoria i Pendragon di Not of this world), superato lo sconcerto iniziale diviene una meraviglia che si rinnova ad ogni ascolto.

È inutile imbarcarsi in una meticolosa descrizione delle singole canzoni, i Myrath in questa prova danno sfogo ad una creatività fuori dal comune e riescono ad inanellare una serie di pezzi estremamente caratteristici e carichi di sensazioni. Dalla drammatica e desolata malinconia di Requiem for a goodbye, dai languori di Dawn Within, fino a quella che è la vetta, a parer mio, del disco, sebbene si tratti, forse della canzone meno caratteristica del lotto, e vale a dire la conclusiva Time to grow – non vi sono parole per descrivere il pathos e la passione che questi quattro ragazzi hanno condensato in questi quattro minuti.

Col fluire del tempo ci fu modo di andare a recuperare le prime due opere dei Myrath, Hope e Desert call, e il confronto ha messo in evidenza l’incredibile maturazione artistica dei tunisini su Tales of the sands. E per la naturalezza nella fusione di metal e oriente, e per l’incredibile crescita che aveva portato ad un songwriting strutturato, complesso eppure solido e compatto su cui innestare atmosfere incredibilmente diverse l’una dall’altra. Un songwriting che, ribadiamolo allo sfinimento, travalicava la complessità sonora e la sua insolita melodia per diventare efficace, immediato, qualcosa che conquistava al primo ascolto. Con Tales of the sands i Myrath avevano davvero composto qualcosa da lasciare in lascito al metal.

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