Recensione: Tamashii No Yama
“Tamashii No Yama” è il nuovo nonché quarto full-length in carriera degli Et Moriemur, band proveniente dalla Repubblica Cecoslovacca i cui natali sono avvenuti nel 2008.
Composti da cinque abili e preparati musicisti, per poter esprimere le proprie idee musicali con maggiore forza essi si avvalgono di numerosi ospiti, specializzati in strumenti classici quali viola e arpa, per dirne due, nonché nello shakuhachi, della tradizione medievale giapponese. Così come le tematiche del full-length stesso, ispirate a personaggi e luoghi del paese del Sol Levante.
Base fondamentale della proposta dei Nostri è il pianoforte, meravigliosamente suonato (‘Haneda’) dalle mani di Zdeněk Nevělík, il cantante. Il quale, con il suo disperato growling, introduce la sezione normale della band, composta dalle chitarre di Aleš Vilingr e Honza Tlačil, dal basso di Karel “Kabrio” Kovářík e dalla batteria di Michal “Datel” Rak.
Una presentazione doverosa, questa, per sottolineare che gli Et Moriemur fondono del poderoso doom alla musica classica, a quella etnica e al death metal (‘Otsuki’); per un pot-pourri davvero riuscito nel delicato equilibrio fra le varie componenti fra di esse contrarie. ‘Oshima’ ne è l’esempio. Brano multiforme, che tuttavia inchioda le proprie propaggini al metallo più cadenzato. La fusione dei vari generi trattati è perfetta anche perché non mancano le orchestrazioni e i cori, che rappresentano degli elementi assai importanti, necessari a completare impeccabilmente la cucitura del patchwork musicale.
L’Est europeo è, da sempre, vigoroso sostenitore della musica classica. E, spesso, provengono proprio da lì i migliori interpreti. Una circostanza, questa, che viene ribadita dal combo di Praga nella sua rivisitazione di un genere metal anch’esso classico come il doom. Tant’è che la definizione doom è da prendere con le molle, giacché “Tamashii No Yama” è un disco pieno di sorprese che esaltano l’universalità stilistica della seconda arte.
Non a caso l’aspetto che più colpisce, del disco medesimo, è la sua capacità di generare visioni sfuggevoli, di difficile comprensione, in virtù, appunto, di una caleidoscopica elaborazione delle note e degli accordi la quale rende arduo mettere a fuoco con chiarezza un umore in perenne cambiamento. Però, approfondendo, e non di poco, l’ascolto, a mano a mano che si chiude il cerchio dalla ridetta ‘Haneda’ alla suite ‘Takamagahara’, appaiono più chiare immagini di riproducenti fredde e buie stanze della città vecchia, quadri che tratteggiano paesaggi bucolici (questa allucinazione non è nuova, essendo stata messa su rigo musicale da Modest Petrovič Musorgskij nella composizione per pianoforte “Quadri di un’Esposizione”, 1874). Ma anche immagini di squarci di sole in mari di nubi e, non ultimi, in antitesi, intense sensazioni di dolore e sofferenza, soprattutto nelle sezioni più movimentate.
La già citata ‘Takamagahara’, con i suoi tredici minuti di durata, appare un po’ come la summa di tutto il platter. In gran parte per l’uso gradevole e mai stucchevole della melodia che, sgorgando dai tasti del pianoforte, muta la propria forma quando viene sostenuta dell’elettricità. La passione del quintetto ceco per l’Estremo Oriente si manifesta nondimeno con frasi sussurrate ma comprensibili perlomeno nella loro provenienza che, come emesse da uno spirito impalpabile, danno sostegno alla possente forza lisergica dell’LP.
Forse, a voler cercare il pelo nell’uovo, gli Et Moriemur avrebbero potuto spingere maggiormente sulla consistenza delle singole composizioni, sì da caratterizzare al massimo la loro originale e pressoché unica foggia musicale. Non che il songwriting sia insufficiente, assolutamente no, tuttavia dall’indubbia classe posseduta da Nevělík e compagni ci si poteva aspettare qualche canzone più corposa, più tranciante, in grado si tagliarsi in alto nell’atmosfera.
Si tratta tuttavia di un’osservazione che non inficia più di tanto il valore di un’opera, che merita di essere presa in seria considerazione per campeggiare nelle librerie degli appassionati di metal e non.
Daniele “dani66” D’Adamo