Recensione: Tapping The Vein
Se da un lato si può affermare con certezza che ogni genere musicale ha una sua genesi e un’evoluzione normalmente graduale nel tempo, dall’altro non si può negare che il 1991 fu un anno culminante e chiaramente topico per la storia del thrash metal. Il Black Album dei Metallica era uscito da pochi mesi e aveva improvvisamente abbattuto ogni certezza: la rabbia e la violenza dei riff tipici del genere si erano mescolate con la melodia e con una produzione che definire perfetta è poco. E il Mondo aveva apprezzato. Tanto da destrutturare per molti anni a venire il thrash, nei suoi canoni e nella sua stessa indole, mettendone a rischio l’esistenza stessa (con il concorso, non dimentichiamolo, della venuta del grunge da una parte e del groove metal ‘panteriano’ dall’altra). Molte thrash band si sciolsero, altre cambiarono stile, altre persero identità. Non i Sodom.
Dopo aver messo a segno una doppietta a dir poco dirompente con “Agent Orange” e “Better Off Dead”, il trio del bacino della Ruhr capitanato da Tom Angelripper si ritrovò nuovamente senza chitarrista: dopo Frank Blackfire, accasatosi con i concorrenti Kreator, anche Michael Hoffman scelse di abbandonare la nave per stabilirsi in Sud America. Per “Tapping The Vein” fu scelto il giovane e misconosciuto Andy Brings. La base ritmica rimaneva immutata, con Chris Witchunter alla batteria ad affiancare ancora una volta lo storico leader. Confermata quindi la scelta della formazione a tre, sinonimo di potenza ed essenzialità, “Tapping The Vein”appare subito come un album potente, quadrato e diretto, e ciò si rispecchia nella stessa copertina, dove il misterioso Knarrenheinz questa volta sbatte in faccia muscoli definiti e ci mette il sangue, nel vero senso della parola, per puntare il suo temibile M-16.
L’apertura dell’album colpisce e stupisce: “Body Parts” e “Skinned Alive” non solo sono due bordate thrash, brevi e violente, ma, a voler confermare la scelta senza compromessi dei nostri, vanno anche oltre. La voce di Angelripper sfiora il growl, le ritmiche sono serratissime, i testi splatter. I Sodom giocano al death metal e ci riescono anche bene! “One Step Over The Line” è cinica e cruda nelle liriche (legate alla piaga della prostituzione e affini quali adescaggio, violenza, AIDS) e altrettanto pesante nella parte musicale: un deciso rallentamento rispetto alla bruciante partenza, ma non per questo meno heavy. Forse una delle migliori del lotto, anche grazie a un ritornello facilmente memorizzabile e accattivante, tanto che il pezzo viene spesso ripreso dal vivo. Si riprende a pestare veloce (e molto) con la successiva “Deadline”, con la buonanima di Chris Witchunter che, permettetemi, tende un po’ a ‘rimanere in scia’ nelle accelerazioni più marcate. Lo spirito di derivazione punk, tipico del trio tedesco, non è messo da parte nemmeno in un album tanto ‘metal’ quanto “Tapping The Vein”: “Bullet In The Head”, in questo senso (fate caso al solo) è più che efficace. Come all’inizio, pare proprio che l’old school death metal, tanto in voga in quegli anni, abbia davvero fatto breccia nei Sodom. “The Crippler” è, infatti, un’altra traccia che ha molti classici crismi del metallo della morte: la voce rauca, cavernosa e ribassata così come i suoni, il testo brutale… se poi quella dei Nostri è una passione momentanea o una scelta opportunistica, non si può dire, però ritengo che il risultato sia apprezzabile, seppure forse solo una sorta di divertissement all’interno della discografia dei Sodom. Come da tradizione, non può mancare il pezzo in lingua madre: immediato e diretto, “Wachturm” si scaglia contro la Torre Di Guardia, vale a dire i Testimoni di Geova. Ironica e strafottente, colpisce nel segno con estrema facilità. Con la title-track si torna in territori più consoni allo stile classico del trio teutonico; almeno nel ritornello, la voce ritrova il suo effetto carta vetrata e le strofe, così come il solo, sono sparate a mille, senza il minimo tentativo di approfondimento o di ricerca: è quindi chiara la lontananza dalle soluzioni più particolareggiate e (si fa per dire) melodiche del recente “In War And Pieces”. Con un gruppo come i Sodom, c’è ben poco da discutere: dal momento in cui c’è un minimo d’ispirazione, Tom Angelripper & Co. riescono con una semplicità a volte disarmante a ripetere formule accattivanti e a effetto. Il paragone con i Motorhead è quasi banale, ma del resto questa è la caratteristica di quei gruppi che hanno fatto la storia di un genere. Se “Back To War” e “Hunting Season” poco aggiungono all’album (senza per questo essere degli episodi a vuoto), “Reincarnation” rappresenta invece la novità posta in chiusura: quasi otto minuti di attacco freddo e cinico alla religione, con tempi più rallentati, ma con un approccio non per questo meno efferato.
Quando un gruppo raggiunge i trent’anni di onorata carriera in un genere estremo come il thrash metal, l’ammirazione è cosa dovuta. Certo questa trova giustificazione sia nella longevità stessa della band sia nella presa di coscienza dei capolavori che la medesima ha creato. Probabilmente “Tapping The Vein” non è l’architrave della discografia dei Sodom, tuttavia rappresenta un esempio di ottimo metal, estremo e violento quanto necessario, che va assolutamente riscoperto.
Vittorio “Vittorio” Cafiero
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Track-list:
1. Body Parts 3:02
2. Skinned Alive 2:27
3. One Step Over The Line 5:06
4. Deadline 3:51
5. Bullet In The Head 3:01
6. The Crippler 4:09
7. Wachturm 3:46
8. Tapping The Vein 5:10
9. Back To War 3:13
10. Hunting Season 4:27
11. Reincarnation 7:49
Durata 46 minuti c.a.
Line-up:
Tom Angelripper (Thomas Such) – Vocals, Bass
Andy Brings – Guitars
Chris Witchhunter (Christian Dudeck) – Drums