Recensione: Tapping The Vein [Reissue 2024]

Di Mickey E.vil - 15 Novembre 2024 - 8:00
Tapping The Vein [Reissue 2024]
Band: Sodom
Etichetta: Noise Records
Genere: Death  Thrash 
Anno: 2024
Nazione:
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90

Attenzione! Questa recensione va a completare quella mirabilmente realizzata dal nostro storico collaboratore Vittorio Cafiero nel 2011. Tapping The Vein venne infatti minuziosamente analizzato da Vittoro e l’invito è quello di (ri)leggere questa bella recensione, che trovate in calce. Ci limiteremo a presentare questa nuova, entusiasmante edizione del classico dei Sodom!

Sicuramente il miglior modo per capire cosa significhi per i Sodom questa lussuosa riedizione del loro album del 1992 è leggere l’intervista che abbiamo realizzato con il chitarrista Andy Brings, che si è anche occupato del remix di Tapping The Vein. I fan dei thrasher teutonici sicuramente stavano attendendo da anni una degna ristampa di questo album entrato di diritto nella storia del metal estremo e di certo questa riedizione supererà ogni loro più rosea aspettativa.

Perchè? Cominciamo col dire che ci troviamo davanti ad un pezzo da collezione, soprattutto la versione in 100 copie – disponibile solo direttamente dalla Noise Records – che contiene ben tre vinili “ripieni di sangue” e due cd, oltre ad un libro di 24 pagine. Vi invitiamo a visionare le altre versioni (vinile e cd) per scegliere la vostra preferita: anche il cd contiene un completissimo booklet, colmo di foto inedite e interessanti liner note che soddisferanno più di una curiosità dei fan.

E la musica? È il 1992 e in un momento storico durante il quale le storiche thrash metal band decidono di calmare gli animi e dedicarsi ad un sound più edulcorato, i Sodom decidono di intraprendere la strada opposta e registrano quello che i fan chiamano “l’album death metal” del trio tedesco. L’incredibile potenza di questo lavoro è valorizzata dalle due versioni presenti in questa edizione: il remaster del 2024 e il remix di Andy Brings che “apre” le tracce della chitarra verso frequenze più alte rispetto all’originale, evidenziando così la radice quasi punk di questi brani. Aspetto ancora più enfatizzato dalle versioni alternative di ‘Body Parts’, ‘Wachturm’ e ‘Reincarnation’. Questo per quanto concerne il lavoro in studio.

Sul fronte live, gli amanti di “Onkel Tom” e sodali potranno immergersi nell’apocalisse sonora, negli ettolitri di sudore e nelle contusioni ricevute durante il pogo selvaggio di ben tre concerti registrati in quel magico anno. Inutile sottolineare che i classici – ‘Agent Orange’, ‘Ausgebombt’ e ‘Bombenhagel’ solo per citarne alcuni – in tutti e tre i live vanno a braccetto con la presentazione dei brani dell’allora nuovo album. La qualità audio del concerto di Tokyo è eccellente (in conclusione l’ottima cover di ‘Kids Wanna Rock’ di Bryan Adams!), discreta quella relativa alla data di Colonia e non eccezionale quella della data di Düsseldorf. Intendiamoci, tutte e tre sono testimonianze importanti di quella macchina da guerra che erano i Sodom con la line-up che comprendeva Tom Angelripper, Andy Brings e il troppo presto compianto Chris Witchhunter – la cui ultima data con la band fu proprio il concerto di Colonia. Un carro armato sonoro dal quale non c’è scampo, pronto a sparare potenti cannonate accolte con gioia dai fan del metal di quei giorni che, come recita il comunicato stampa ufficiale, era “puro, grezzo e selvaggio”. La parola va dunque a messer Cafiero per esaminare un disco che come i cingoli del carro armato ha lasciato una profonda traccia nella storia del thrash metal!

Recensione di Vittorio Cafiero:

Se da un lato si può affermare con certezza che ogni genere musicale ha una sua genesi e un’evoluzione normalmente graduale nel tempo, dall’altro non si può negare che il 1991 fu un anno culminante e chiaramente topico per la storia del thrash metal. Il Black Album dei Metallica era uscito da pochi mesi e aveva improvvisamente abbattuto ogni certezza: la rabbia e la violenza dei riff tipici del genere si erano mescolate con la melodia e con una produzione che definire perfetta è poco. E il Mondo aveva apprezzato. Tanto da destrutturare per molti anni a venire il thrash, nei suoi canoni e nella sua stessa indole, mettendone a rischio l’esistenza stessa (con il concorso, non dimentichiamolo, della venuta del grunge da una parte e del groove metal ‘panteriano’ dall’altra). Molte thrash band si sciolsero, altre cambiarono stile, altre persero identità. Non i Sodom.

Dopo aver messo a segno una doppietta a dir poco dirompente con “Agent Orange” e “Better Off Dead”, il trio del bacino della Ruhr capitanato da Tom Angelripper si ritrovò nuovamente senza chitarrista: dopo Frank Blackfire, accasatosi con i concorrenti Kreator, anche Michael Hoffman scelse di abbandonare la nave per stabilirsi in Sud America. Per “Tapping The Vein” fu scelto il giovane e misconosciuto Andy Brings. La base ritmica rimaneva immutata, con Chris Witchunter alla batteria ad affiancare ancora una volta lo storico leader. Confermata quindi la scelta della formazione a tre, sinonimo di potenza ed essenzialità, “Tapping The Vein”appare subito come un album potente, quadrato e diretto, e ciò si rispecchia nella stessa copertina, dove il misterioso Knarrenheinz questa volta sbatte in faccia muscoli definiti e ci mette il sangue, nel vero senso della parola, per puntare il suo temibile M-16.

L’apertura dell’album colpisce e stupisce: “Body Parts” e “Skinned Alive” non solo sono due bordate thrash, brevi e violente, ma, a voler confermare la scelta senza compromessi dei nostri, vanno anche oltre. La voce di Angelripper sfiora il growl, le ritmiche sono serratissime, i testi splatter. I Sodom giocano al death metal e ci riescono anche bene! “One Step Over The Line” è cinica e cruda nelle liriche (legate alla piaga della prostituzione e affini quali adescaggio, violenza, AIDS) e altrettanto pesante nella parte musicale: un deciso rallentamento rispetto alla bruciante partenza, ma non per questo meno heavy. Forse una delle migliori del lotto, anche grazie a un ritornello facilmente memorizzabile e accattivante, tanto che il pezzo viene spesso ripreso dal vivo. Si riprende a pestare veloce (e molto) con la successiva “Deadline”, con la buonanima di Chris Witchunter che, permettetemi, tende un po’ a ‘rimanere in scia’ nelle accelerazioni più marcate. Lo spirito di derivazione punk, tipico del trio tedesco, non è messo da parte nemmeno in un album tanto ‘metal’ quanto “Tapping The Vein”: “Bullet In The Head”, in questo senso (fate caso al solo) è più che efficace. Come all’inizio, pare proprio che l’old school death metal, tanto in voga in quegli anni, abbia davvero fatto breccia nei Sodom. “The Crippler” è, infatti, un’altra traccia che ha molti classici crismi del metallo della morte: la voce rauca, cavernosa e ribassata così come i suoni, il testo brutale… se poi quella dei Nostri è una passione momentanea o una scelta opportunistica, non si può dire, però ritengo che il risultato sia apprezzabile, seppure forse solo una sorta di divertissement all’interno della discografia dei Sodom. Come da tradizione, non può mancare il pezzo in lingua madre: immediato e diretto, “Wachturm” si scaglia contro la Torre Di Guardia, vale a dire i Testimoni di Geova. Ironica e strafottente, colpisce nel segno con estrema facilità. Con la title-track si torna in territori più consoni allo stile classico del trio teutonico; almeno nel ritornello, la voce ritrova il suo effetto carta vetrata e le strofe, così come il solo, sono sparate a mille, senza il minimo tentativo di approfondimento o di ricerca: è quindi chiara la lontananza dalle soluzioni più particolareggiate e (si fa per dire) melodiche del recente “In War And Pieces”. Con un gruppo come i Sodom, c’è ben poco da discutere: dal momento in cui c’è un minimo d’ispirazione, Tom Angelripper & Co. riescono con una semplicità a volte disarmante a ripetere formule accattivanti e a effetto. Il paragone con i Motorhead è quasi banale, ma del resto questa è la caratteristica di quei gruppi che hanno fatto la storia di un genere. Se “Back To War” e “Hunting Season” poco aggiungono all’album (senza per questo essere degli episodi a vuoto), “Reincarnation” rappresenta invece la novità posta in chiusura: quasi otto minuti di attacco freddo e cinico alla religione, con tempi più rallentati, ma con un approccio non per questo meno efferato.

Quando un gruppo raggiunge i trent’anni di onorata carriera in un genere estremo come il thrash metal, l’ammirazione è cosa dovuta. Certo questa trova giustificazione sia nella longevità stessa della band sia nella presa di coscienza dei capolavori che la medesima ha creato. Probabilmente “Tapping The Vein” non è l’architrave della discografia dei Sodom, tuttavia rappresenta un esempio di ottimo metal, estremo e violento quanto necessario, che va assolutamente riscoperto.

Vittorio “Vittorio” Cafiero

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