Recensione: Tarot
Le sorprese è risaputo, per essere tali, devono arrivare quando meno le si aspettano e questo Tarot è stato per me una vera e propria sorpresa! Avevo lasciato, in tutti i sensi, i Dark Moor ai tempi di The Gates of Oblivion, quando alla voce c’era Elisa Martin e quando il loro power sinfonico mi lasciava piuttosto indifferente. Li ritrovo oggi, quasi per caso, con un nuovo cantante (Alfred Romero, che i fan della band hanno già ammirato nei due dischi precedenti) e soprattutto con una vena compositiva che non mi aspettavo. Le coordinate stilistiche di questo nuovo lavoro battono i sentieri già fruttuosi per gruppi come Rhapsody of Fire, Kamelot e Nightwish, quindi “il solito” power metal melodico ricco d’orchestrazioni e passaggi neoclassici. Se la proposta musicale è ormai ben conosciuta e collaudata, a stupirmi è dunque la bellezza intrinseca delle canzoni, a volte anche semplici nella loro struttura ma sempre (o quasi) terribilmente efficaci nell’impatto; la resa sonora, potente e pulita grazie al lavoro svolto, come da consuetudine per i DM, dal “nostro” Luigi Stefanini ai New Sin Studios; la prova di tutta la band (alla quale i vari cambi di line up degli anni scorsi devono aver fatto proprio bene), con in testa Alfred Romero che lontano dall’essere un’anonima “sirena” si dimostra versatile, espressivo e convincente in ogni situazione, e Enrik Garcia sempre preciso e valido con i suoi assolo; il buon bilanciamento tra la componente strettamente metallica e quella orchestrale, che fa giustamente da contorno senza coprire eccessivamente le chitarre.
Per il sesto album ufficiale, la band spagnola ha voluto prendere ispirazione dai Tarocchi: nato come un gioco di carte sul finire del medioevo, diffuso prima nel nord Italia e poi in Europa, nei secoli ai tarocchi è stata attribuita un’origine mitologica (si parla di antichi miti egiziani e di Cabala ebraica) e hanno assunto via via una connotazione esoterico-divinatoria. La caratteristica più rilevante del gioco dei tarocchi è il mazzo dedicato ai cosiddetti Arcani Maggiori: 22 figure a cui sono attribuite vari significati, sociali, filosofici ma anche religiosi, caratteriali e appunto propiziatori e divinatori. Partendo da questi presupposti, i Dark Moor hanno realizzato un concept album dove ogni canzone approfondisce i temi relativi al corrispondente Arcano citato nel titolo delle canzoni.
S’inizia con la doppietta The Magician – The Chariot (Arcani legati al tema del destino, del controllo su di esso, della vittoria e della rivalsa): un introduzione epica e sinfonica a cui fa seguito il classico brano power, stavolta portato su tempi medi, con riffs semplici e ben in evidenza, ricco di cori anthemici e di linee vocali di facile presa che uniscono voce maschile e femminile (ad opera di Manda Ophuis, presente anche in altri brani). A questo buonissimo inizio si possono accostare brani come Wheel of Fortune (il destino, il karma, ciò che è tolto viene ridato) e The Hanged Man (l’incertezza), due buoni esempi di power semplice e raffinatamente melodico. Ma se Lovers (la scelta d’amore) è il brano più debole, per via della sua vicinanza stilistica a certo emo-rock da classifica (HIM, Sentecend…), e The Emperor (il potere e la saggezza) può essere considerato un riuscito tributo ai Nightwish di “Wishmaster”, le carte migliori (è proprio il caso di dirlo) che fanno fare il vero salto di qualità al disco, sono le altre contenute nella scaletta. The Star (la guida che illumina la via, il ritorno a casa, la speranza) è un brano “guitar oriented”, sorretto da melodie malinconiche e atmosfere mistiche (ottimi gli inserti di tastiera), dove Alfred Romero sale in cattedra e sfodera una prestazione vicina al miglior Roy Khan (Kamelot). Death (il rinnovamento, la fine che porta ad un nuovo inizio), l’episodio più duro del lotto, si barcamena tra riffs tritatutto, voci ora pulite ora oscure e inserti d’archi “tenebrosi” a punteggiare tutto il brano. Pregevole l’assolo “old style”. La prima della due suite qui presenti è Devil in the Tower (la lussuria, la superbia e la presunzione): atmosfere gotiche ed inquietanti, voci demoniache, cori polifonici, aperture neoclassiche e accelerazioni in pieno power-style. E ancora un breve walzer da carillon che sfocia in un coro a cappella e orchestrazioni a “go go” lungo tutta la traccia. Un piccolo gioiello di power sinfonico (“hollywood metal” se preferite) come non ne sentivo da tempo. La suite finale invece è un puro e semplice omaggio al genio di Beethoven: The Moon (la femminilità e la creatività) vive, infatti, sui temi principali di due tra le più famose opere del maestro tedesco, il primo movimento della “Sinfonia n°5 in Do minore” e il delicato tema iniziale della sonata al “Chiaro di Luna”. Il risultato è un brano denso, drammatico, che lascia un po’ di respiro solo in corrispondenza della famosa sonata per pianoforte (il cui tema struggente è
ripreso anche dalla chitarra). Infine giusto il tempo di una bonus track, The Fool (la forza della vita, ma anche l’alienazione dalla realtà), che nulla toglie e nulla aggiunge a quanto detto dalle tracce precedenti.
Complimenti dunque alla band spagnola, tornata in pista con un ottimo disco che farà, ne sono sicuro, la felicità di tutti gli amanti del power sinfonico, pomposo e diretto.
Simo Narancia
Line Up
Alfred Romero: voce
Enrick Garcia: chitarre
Dani Fernandez: basso
Roberto Cappa: batteria
Special guest: Manda Ophuis (Nemesea), voce
Tracklist:
1. The Magician
2. The Chariot
3. The Star
4. Wheel Of Fortune
5. The Emperor
6. Devil In The Tower
7. Death
8. Lovers
9. The Hanged Man
10. The Moon
11. The Fool (bonus track)