Recensione: Tattoos & Tequila
Come si suol dire nei vecchi proverbi, le cose meno utili, sono, dopo tutto, quelle che finiscono per essere anche le più divertenti.
Una considerazione attagliata con estremo garbo anche su questa nuova uscita griffata Vince Neil, funambolico frontman statunitense che sin dagli albori dei gloriosi eighties ha avuto la fortuna di legare il proprio nome – e conto in banca – alle glorie dei celebri Mötley Crüe, moniker storico che non staremo certo a presentare alle torme d’appassionati.
“Tattoos & Tequila” è esattamente questo. Un disco dall’utilità artistica pressoché azzerata, eppure dannatamente divertente, ricco di brio, vitalità e di tutti quegli ingredienti in grado di rendere accattivante un prodotto hard rock dal profilo alquanto “vacanziero” e spensierato.
Il motivo della scarsa valenza in termini di pura “arte” è presto detto. Di davvero “suo” in questa nuova release, il buon Vince non mette quasi nulla.
Una brillante collezione di cover estrapolate dagli archivi di gruppi mitici ed altolocati del panorama rock “storico” è, infatti, il contenuto nudo e crudo dell’album, omaggio più o meno simbolico, tributato dal singer alle proprie radici (formula consunta, utilizzata al solito quando si sfrutta l’ingegno di altri per un disco di soli rifacimenti), condito da un paio d’inediti, tassa necessaria per consentire un appeal quantomeno accettabile ad un prodotto altrimenti di scarso potere commerciale.
Le ragioni connesse al salvifico e superiore effetto “divertente”, sono invece, a portata d’orecchio.
Da immarcescibile marpione, Neil ha in realtà offerto ai propri fan di vecchia data una soddisfazione imprevista. Ovvero, il riascoltare i toni e gli stilemi del Crüe-sound classico – quello per intenderci, caratteristico di prodotti leggendari quali “Girls, Girls, Girls” e “Dr. Feelgood” – in una rivisitazione che, pur se ammantata da tonnellate d’ammaliante ruffianeria, finisce per catturare positivamente l’attenzione.
L’aspetto davvero unico e vincente di “Tattoos & Tequila” è proprio qui. Nell’inatteso arrangiamento di una serie di brani rivisti in chiave Mötley, tanto credibili da favorire un curioso effetto di “appropriazione” tale da restituirli a nuova vita. Quasi fossero realmente creazioni nuove di zecca, confezionate per l’occasione con l’aiuto dei soliti Mars, Sixx e Lee, sodali di sempre.
Dimenticando per un attimo l’origine antica e remota delle canzoni, la magia si compie in un battito di ciglia: le atmosfere vecchio stile riprendono vita, l’arroganza festaiola dei “Santi” di Los Angeles ricompare improvvisa e il non lasciarsi attrarre inesorabilmente da chitarre grasse e roventi alla “Kickstart My Heart”, risulta sin dal primo incontro, impresa per lo più titanica.
Attenzione tuttavia alla partenza. Fuorviante e slegata dal resto delle composizioni, la title track – uno dei due episodi inediti – piazza in apertura una stravagante traccia modernista che lascia un po’ interdetti anche se non proprio amareggiati. La canzone non è malvagia, gli assolo viaggiano piuttosto bene, ma lo spirito appare un po’ troppo contaminato e lontano dal classico hard rock che i fan di certo si augurerebbero d’ascoltare.
Senza dubbio di maggior efficacia il resto della tracklist. Destinata a lievitare con l’andare del minutaggio, la scaletta s’inebria della verve di brani irresistibili come “Ac/Dc” degli Sweet, “No Feelings” dei Sex Pistols, “Bitch is Back” di Elton John e soprattutto, di un paio di solerti ed esaltanti sganassoni intitolati “Nobody’s Fault” degli Aerosmith (che ricordiamo coverizzata eoni fa, anche dai vitaminici Testament) e “Viva Las Vegas”, canzoncina del King of Rock Elvis Presley, pronta ad assumere contorni di una taglientissima sventagliata heavy rock con coro centrale degno di volumi assordanti.
In mezzo, qualche momento easy listening preso in prestito dai Creedence Clearwater (“Who Will Stop The Rain”), alcune iniezioni di robusto hard con chitarrone urlanti (“Long Cold Woman” dei The Hollies e “Another Piece of Meat” degli Scorpions”), un paio di passaggi di godibile rock n’roll (“He’s a Whore” dei Cheap Trick e “Bad Drinkers and Hell Raisers” degli ZZ Top) ed il secondo inedito – “Another Bad Day” – una scorrevole ballad risalente al 2000, realizzata da Nikki Sixx su misura per le corde vocali di Neil.
Passato il timore della fregatura, o della “sola” per dirla in termini coloriti, l’impressione che rimane di “Tattoos & Tequila” è, come nebbia che si dirada, limpida e scintillante. Un disco che non vuol dire granché. Costruito, ruffiano, fatto per vendere. Dall’utilità minima.
Eppure, sollazzante e ricco d’aspetti godibili dal principio alla fine.
Insomma, come dicevamo in apertura, le cose meno utili, sono, alla fine, quelle più divertenti.
I vecchi proverbi, non sbagliano mai…
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Tracklist:
01. Tattoos & Tequila
02. He’s A Whore (CHEAP TRICK)
03. AC/DC (SWEET)
04. Nobody’s Fault (AEROSMITH)
05. Another Bad Day
06. No Feelings (SEX PISTOLS)
07. Long Cool Woman (THE HOLLIES)
08. Another Piece Of Meat (SCORPIONS)
09. Who Will Stop The Rain (CREEDENCE CLEARWATER REVIVAL)
10. Viva Las Vegas (ELVIS PRESLEY)
11. Bitch Is Back (ELTON JOHN)
12. Beer Drinkers and Hell Raisers (ZZ TOP) * (Bonus Track)
Line Up:
Vince Neil – Voce
Dana Strum – Basso
Jeff Blando – Chitarra
Zoltan Chaney – Batteria