Recensione: Tear Off The Darkness
Originari del savonese, i The Sunburst sono una giovane realtà italiana dall’attitudine marcatamente american style, in cui le tendenze e gli ascendenti sono sì accostabili all’hard rock, deviato però su binari cupi e coriacei dall’evidente approccio “modernista”.
Autore di un interessante debutto edito da Red Cat Records poche settimane fa, il quartetto si lancia alla rincorsa di ispirazioni che non possono prescindere da quelli che sono divenuti classici del genere a tutti gli effetti, inanellando una serie di melodie corpose e vagamente visionarie che in certa misura paiono assommare tra di loro Alter Bridge ed Avenged Sevenfold, senza tuttavia perdere di vista un’anima antica, dall’estrazione rock in senso tradizionale.
Un primo full che ha il pregio non indifferente della stringatezza e concisione questo “Tear Off The Darkness”.
Poco meno di quaranta minuti per una manciata di brani che spaziano dalla vigoria di un hard rock dalle fondamenta decisamente solide e quadrate, alle armonie più compassate e slow dal vago sentore Black Label Society, condite da un che di allucinato e rarefatto nelle atmosfere, tale da conferire all’intero cd un alone malinconico, ben lontano dall’essere paragonabile come feeling e sensibilità, ad un qualcosa di lieve e spensierato. Le idee e le sensazioni si identificano in un immaginario contemporaneo, fatto di durezza ed asperità, in cui il vivere d’ogni giorno viene scandito con ritmiche serrate ed arcigne.
Chitarre che viaggiano in coppia macinando un riffing severo e “notturno”- amministrate egregiamente dai fondatori Davide Crisafulli e Luca Pileri – sono lo scheletro di una serie di tracce che, pur nella loro ruvida consistenza si rivelano sorprendentemente piacevoli all’ascolto. Dense e compatte senza dubbio, sempre fornite però di una componente di pura melodia “spinta”, concentrata per lo più in ritornelli che si scoprono improvvisi, come squarci di sole in un cielo plumbeo. “Sunburst”, “sprazzo di sole”: nulla di meno…
Non manca l’inventiva e non difettano i mezzi. Pur con qualche elemento da affinare e mettere a regime (non tutti gl’episodi sono davvero vincenti e della stessa qualità, qualche passaggio appare meno accattivante) il quartetto ligure dimostra di avere tutto ciò che può ritenersi necessario per competere ad un livello superiore in termini di songwriting, suoni e doti personali.
E se i fatti contano più di mille parole, via all’ascolto dell’iniziale “Follow Me”, della robusta “The Flow” o della scalciante “Unforgiven”, traccia che oltre a lanciarsi in una serie di accordi potenti e grintosi, beneficia di un arrangiamento dal sapore quasi stoner.
Formule mirate per colpire nel segno, procurando consensi trasversali presso le fasce più giovani d’utenza, senza però disdegnare qualche occhiata compiaciuta verso le aree meno conservatrici di “vecchi” fruitori di hard rock.
Niente male davvero. In particolar modo per una band al disco d’esordio che pur avendo – come ovvio – ancora tutto da dimostrare, evidenzia sin dal principio ottime basi su cui potersi evolvere.
Discutine sul forum nella sezione Hard Rock / Aor / Stoner!