Recensione: Telesterion
Parlare dei Mechina non è cosa facile.
Almeno per il sottoscritto: partendo dalla base che, a livello puramente personale, reputo la formazione statunitense del tutto inqualificabile, o meglio non precisamente ancorabile ad una qualsivoglia specifica sottocorrente musicale del nostro genere musicale preferito, i Mechina sono una di quelle formazioni che osano talmente tanto da risultare totalmente borderline per moltissimi aspetti.
Scoperti con il precedente “As Embers Turn to Dust”, sempre dal sottoscritto ritenuto un capolavoro, la formazione proponeva un cocktail di elementi decisamente lontani tra loro con una maestria di un certo livello, manifestando il tutto in brani magistralmente composti contraddistinti da un sound di produzione decisamente adatto ad un sound così particolare. Insomma, i Mechina sono strani e fieri di esserlo: in pratica, ci sono e non ci fanno.
Con tali premesse, inutile dire che l’attesa al varco di questo nuovo, ottavo platter intitolato “Telesterion”, si è rivelata un qualcosa di davvero molto, molto sudato: il disco segna, in generale, una volontà di non discostarsi affatto dalle coordinate segnate dal precedente lavoro, proponendo quindi quella che per certi versi è a conti fatti una vera e propria ‘minestra riscaldata’ di quelle che ormai sono le linee guida del loro sound. Ritornano quindi le furiose ritmiche di chitarra sincopate che per moltissimi versi ricordano una versione più melodica dell’impianto chitarristico dei Fear Factory, imponenti partiture sinfoniche a sorreggere il tutto, voci maschili in growl che si alternano ad una voce femminile rigorosamente trattata col vocoder allo scopo di dare al tutto un effetto particolarmente robotico e futuristico.
Anche le melodie delle parti vocali stesse ricordano, in questo platter in misura ancora maggiore, per certi versi alcune cose (le parti in voce pulita, ovviamente) delle fasi più recenti della band di Dino Cazares, risultando perfettamente in agio con il concept ‘macchinoso’ e cyberpunk dell’opera. Rispetto al precedente disco però, risultano maggiormente curate le atmosfere, grazie a partiture di synth particolarmente ricercate e ben incastrate tra di loro: da vedersi ad esempio la parte introduttiva di ‘Tyrannos’, la quale parte con ritmi dall’atmosfera tribale per poi evolvere, prima di esplodere nella parte Metal vera e propria, in un crescendo di suoni del tutto tributari a determinati pathos sinfonici a cui il buon Vangelis, ai tempi dell’immortale Blade Runner, ci ha abituato.
I brani più riusciti del disco, vale a dire l’introduttiva (a sua volta anche singolo di anteprima) ‘Realm Braker’, ammaliante nel suo essere per certi versi anche raffinata, oppure la splendida ‘The Archivarius Chaos Ritual’, con le sue melodie realmente stupende che si conficcano inesorabilmente dentro di noi martellandoci le meningi per ore ed ore anche a disco ultimato, sono così ben fattii (i singoli non vengono mai scelti a caso) da rischiare di offuscare, almeno ad un primo ascolto, tutti i restanti brani del disco, tutti contraddistinti da una lunghezza di base notevole (si va dai 6 minuti fino a superarne di poco i 10) ma dotati di idee non meno azzeccate (forse più deboluccia risulta, nel contesto, la title-track, pur risultando un brano assolutamente non disprezzabile) sebbene meno di facile presa rispetto ai due brani sopra citati.
Insomma, con simili premesse, se già per il sottoscritto descrivere i Mechina come band non è cosa per nulla facile, ancora meno lo è tirare le somme su un disco sicuramente apprezzabile quale è questo “Telesterion”: un ottavo tassello discografico sicuramente di alto livello ma che forse poteva permettere alla band di osare di più. La produzione, decisamente compressa e massiccia, questa volta pur enfatizzando massicciamente le pompose parti di synth (veri e propri pilastri del suono della formazione) proprio come nel caso del precedente lavoro, ora propone un impianto Metal ancor più robusto e compatto (peccato che il basso, nel contesto, ne esca del tutto sacrificato). Insomma…che dire? “Telesterion” è l’ennesimo, ottimo lavoro dei Mechina, infarcito come sempre di atmosfere uniche che altre band nel genere mai riusciranno a replicare. Il songwriting è, come sempre, magistrale, anche se forse questa volta appare leggermente meno dinamico e più a colpo sicuro dall’inziio alla fine. Se però vi aspettavate qualcosa di diverso forse, è consigliabile un ascolto maggiormente approfondito prima di procedere all’acquisto (cosa impossibile da dire in tempi differenti da quelli attuali…): se invece siete, inutile dirlo, alla ricerca del solito sound targato Mechina, allora fatevi pure sotto.
Se le vostre intenzioni sono tali, sappiate che non ne rimarrete delusi: la formazione statunitense è ormai, se ancor non si fosse capito, una garanzia nel mondo del Metal moderno.
“Telesterion” è, a tutti gli effetti, la colonna sonora di un tempo futuro che speriamo di non poter mai raggiungere davvero, in cui la meccanizzazione/digitalizzazione dei nostri sistemi vitali sarà giunta ad un livello tale per cui è ormai impossibile tornare indietro.
…e se forse lo avessimo già raggiunto?