Recensione: Terror Management Theory
Esordire con un album da 58 minuti, la cui traccia più lunga si aggira oltre i sette, non è certo cosa da tutti. Ma quando puoi vantare nomi come quello di Diego Tejeida, ex componente degli Haken, ed Eric Gillette (The Neal Morse Band) la solfa cambia e di molto. Con Terror Management Theory ci troviamo davanti a un’opera prima che sorprende da subito, grazie alla sapiente fruizione del comparto tecnico e della melodiosa voce del cantante Fredrik Bergersen, che accompagna l’ascoltatore attraverso un’opera seducente, senza snaturare la componente metal che tutti noi amiamo.
Dopo “TMT”, che in veste di opening crea la giusta atmosfera nella quale far calare l’ascoltatore, un potente giro di batteria ci introduce alla seconda traccia; “Through the Sands of Time” apre infatti le danze in modo travolgente e melodico, facendoci capire che siamo di fronte ad un disco dalle emozioni contrastanti. “Falling Away” cambia leggermente connotati, addentrandosi in ambienti più placidi adornati da tinte elettroniche, magistralmente arrangiate dall’esperto Tejeida; la traccia scorre fluida e riesce a trascinare, forte anche di un buon ritornello che rimarrà saldo nelle orecchie dell’ascoltatore. Alzando di nuovo il minutaggio, “Count Your Losses” mescola di nuovo le carte in tavola, pur mantenendo la formula di un ritornello subito afferrabile e molto orecchiabile: il riffing si fa più saldo ed intricato, dando così dimostrazione della grande preparazione di Gillette, che ci dona momenti davvero molto ispirati.
Come trascinati in un film horror, la quinta traccia “Skeletons” si apre con quella che potrebbe essere la perfetta atmosfera per una colonna sonora di Dario Argento: per tutto il brano pare di assistere ad ossa danzanti, morti pronti a rinascere a ritmo di musica, quasi volessero festeggiare il ritorno alla luce del sole. La voce di Fredrik oscilla tra momenti cristallini e attimi più concitati, senza mai però abbandonare quel binario melodico che lo contraddistingue, dimostrandosi una piacevole scoperta ad ogni nota.
“Act Of Violence”, come una moneta, ha due facce: se leggendo il titolo l’ascoltatore si prospetta una traccia potente come un pugno nello stomaco, dovrà ricredersi udendo le note armoniose che lo travolgeranno, lasciandolo totalmente spiazzato; ma sarà proprio all’apice di questa calma apparente che la moneta si capovolgerà, scoprendo il vero atto di violenza che si celava dietro l’angolo.
“Friendly Fire” si potrebbe riassumere come la summa delle capacità di ogni componente della band, a eccezione del vocalist, essendo questa una traccia totalmente strumentale, ma davvero ben composta e posizionata all’interno della tracklist: Tejeida e compagni si danno da fare, dando sfoggio di tutta la loro tecnica, in quello che potrebbe apparire come un campo di battaglia senza esclusione di colpi.
Potente e travolgente è la seguente “Paradigm”, forse uno dei brani più riusciti dell’intero album: tecnico, vocalmente ispirato e di impatto, sarà un pezzo che gli amanti della band difficilmente riusciranno a togliersi dalla testa: peculiare in certi momenti la somiglianza con alcune tracce dei mastodontici Tool.
“Once More” mette il piede sull’acceleratore, con ritmi più serrati e veloci, dando vita a qualcosa che finora la band non aveva mai espresso nelle tracce precedenti: pare di trovarsi in mezzo a una protesta, con la batteria di Sandnes che pesta come una mitraglietta e tratti di chitarra che si avvicinano al djent; un brano veramente ben riuscito.
In chiusura di questa opera prima, la band propone “Mothallah”, che con i suoi 7:28 è anche la traccia più lunga dell’intero disco: ci troviamo di fronte a un prog ispirato, ricco di progressioni tecniche, linee vocali che spaziano dalle più dolci a momenti più concitati e riff davvero ben eseguiti, che chiudono in maniera esaltante l’ora di cui si compone l’album.
Con “Terror Management Theory” i Temic danno vita a un debut album ben riuscito, ispirato e mai banale, che durante l’ascolto fa quasi dimenticare di trovarsi di fronte a un primo lavoro, peccando forse soltanto per la durata un po’ eccessiva: come le ciliegie quindi, un po’ meno, ma più spesso.