Recensione: Tempest
‘Tempest’ è il primo album degli olandesi Bladecrusher, disponibile, via Big Bad Wolf Records, dal 24 giugno 2022.
Si tratta, nella realtà, di una seconda edizione, essendo la prima uscita su piattaforma digitale nel 2021, quando la band si chiamava, appunto, Tempest.
Poi, nel 2022, la decisione di cambiare monicker, ridando alle stampe l’album di debutto, mantenendone la cover ed allungandolo di un brano.
Il lavoro viene dichiarato EP, posso presumere per la sua durata, inferiore alla mezz’ora e non per il numero di brani, pari a otto come quelli di un Full Length vero e proprio.
Mini od album intero poco importa come lo intendiamo, quel che conta è la qualità di ciò che contiene, molto alta, senza tanti giri di parole.
‘Tempest’ è, “semplicemente”, Thrash Metal allo stato liquido, rovente, inarrestabile e travolgente, radicato nella Vecchia Scuola e con una forte esaltazione degli elementi Hardcore che ne amplifica la ferocia.
I riferimenti provengono essenzialmente dalla scena d’oltreoceano: Exodus e Slayer (guarda caso!) ma anche band con marcate tendenze Crossover, come i Cro-Mags ed i più recenti Power Trip. Un bel concentrato di violenza, insomma, ad alto tasso deflagrante.
Elementi essenziali sono la voce con la quale s’impone Stephan Leistra, irosa e prepotente e la densità della sezione ritmica, molto corposa e impenetrabile.
Niente di nuovo, beninteso, ma carico di una qual certa energica personalità, come il lavoro di Walter Huliselan al basso, tenuto, giustamente, ben bene in evidenza (si senta, ad esempio, il breve ma intenso assolo in ‘Sacrificial Rites’).
Personalità che emerge nel songwriting, dinamico e consistente, con parecchi cambi di tempo incisivi e martellanti, che, passando da andature soffocanti e nere ad altre iper veloci e smodate, con collegamenti epici e marziali, generano una vorticante e violenta tempesta, carica di intensi sbalzi di temperatura al suo interno. Roba da far dei feriti nel Pit, il posto più adatto dove ascoltare i Bladecrusher.
Un’ultima cosa la diciamo sui testi, relativamente insoliti per il genere suonato: “Long before the existence of mankind, when wicked storms roamed the earth, an evil king emerged from the clouds. Riding on a skin-torn horse, as lifeless as its master”, così inizia la narrazione della travolgente ‘Behold the Deity’, traccia con la quale si chiude il disco.
I Bladecrusher si ispirano alla narrativa fantasy, non per dare vita a mondi alternativi o illusori dove rifugiarsi, ma per creare delle allegorie con la vita reale, evidenziandone il bene ma anche il male che l’uomo sta combattendo attualmente.
Un modo per affrontare questi argomenti in modo diverso rispetto alla stragrande maggioranza dei gruppi Thrash Metal, un po’ meno diretto, forse più distensivo ma altrettanto efficace e provocatorio.
Con ‘Tempest’ i Bladecrusher iniziano un racconto, sta a noi ascoltarlo, meglio se a tutto volume. Assolutamente da non perdere.