Recensione: Temple Of Phobos
Il caso Vanhelgd é uno di quei rari fenomeni musicali in grado di farti pensare.
Un caso a se stante nella miriade di gruppi death odierni, in grado di introdurre qualcosa di innovativo in una ricetta che alla fine é ampiamente conosciuta da tutti, insomma un essere originali a proprio modo senza esserlo effettivamente. Un disco come “Temple Of Phobos” suona un po’ come l’evoluzione naturale del più crudo e marcio suono svedese risultando allo stesso tempo sia classicista che innovativo: classico nei suoni (solo modernizzati dalla produzione, ma fedeli allo spirito) e nelle atmosfere ma innovativo nel modo in cui queste vengono emanate, come il sostanzioso apporto di ritmiche di matrice puramente doom al suono finora puramente ‘swedish-death’ dell’ensemble, oppure l’introduzione di elementi inusuali al contesto horror/antireligioso dei Nostri come ad esempio le trombe risuonanti all’interno di ‘Den Klentrogenes Klagan’.
Forse qualcuno tra di voi dirà che non é abbastanza, eppure bisognerebbe ascoltare per credere: sulle prime ammetto di aver storto il naso di fronte a certe trovate inusuali (le trombe non é che siano lo strumento esattamente top all’interno di un disco death metal), ma poi con il maturare degli ascolti mi son dovuto ricredere in quanto il tutto assume un valore unico, sufficientemente spinto per permetterci di catalogare questi svedesi come ‘una formazione dal suono classico, ma con qualcosa in più’.
Che tutto ciò non faccia comunque pensare ad aspirazioni Avantgarde in quanto il suono dei Vanhelgd come già detto rimane classico, classicissimo ma solo più lento, epico e claustrofobico: ne é un esempio la languida ‘Gravens Lovsang’ che, nonostante il suo incedere malinconico, si rivela un pezzo death di tutto rispetto, con tinte doom pesantissime….e potrebbe anche essere il contrario perché dipende tutto dal nostro modo di percepire il suono, ma va notato che aldilà dei punti di vista i Nostri marcano sempre di più la propria proposta con un flavour spiccatamente death, per un pezzo che potrebbe essere il simbolo stesso del suono di “Temple Of Phobos”.
Atmosfere orrorifiche opprimenti aleggiano lungo il marasma di melodie ora più melodiche, ora più atonali, per regalarci brani come ‘Lamentation Of The Mortals’ e ‘Rebellion Of The Iniquitous’, rispettivamente brani di apertura che hanno lo scopo di presentarci quella che é effettivamente l’anima più smaccatamente orrorifica e death di questo lavoro, due capitoli in grado di regalarci mid-tempos infarciti di riff laceranti così come ripartenze di blast beat in grado di riportarci ai primi anni ’90, il tutto avvolto in un atmosfera che potrebbe essere tranquillamente tratta dalle opere di registi come George Romero o Lucio Fulci.
Il disco, se ascoltato in successione, rivela un discendere sempre più marcato verso accenti doom fatti di melodie pregne di atmosfere disperate (‘Rejoice in Apathy’), un feeling disperato che raggiunge il suo culmine conclusivo in ‘Allt Hopp Ar Forbi’, pezzo dilatato all’inverosimile e variegato sia per tempi che elementi (nel mix spiccano anche gli interventi di una soprano nei momenti di maggiore crescendo) come se fosse un ultimo, sopprimente viaggio tra le lande di un mondo orrorifico pitturato dalle liriche dei nostri eroi, la cui psiche sicuramente sarà ricolma di incolumità quando si pensa al volersi addentrare in siffatti mondi di lacrimosa angoscia.
Una fine apparente, attraversata da due minuti di totale silenzio, per poi esplodere miracolosamente in un’ultima, sanguinosa sfuriata finale, questa sì in grado di mettere definitivamente un giusto accento death sul brano….finale a sorpresa a dir poco, per un disco intenso, ‘meravigliosamente death’ (passatemi il termine) ma aperto ad un numero di sfumature emozionali ben più che superiore alla media classica del genere.
L’innovazione del nuovo corso dei Vanhelgd sta tutta qui: non hanno rischiato nulla, da ensemble di death puro e duro si sono solo aperti verso l’assoluto ma ricordando bene da dove vengono. Ditemi se é poco.
Un ottimo lavoro, sicuramente da annoverare tra i dischi death metal dell’anno ancora in corso.
Che siate tradizionalisti, oppure acerrimi innvatori non ha importanza: fatelo vostro, il sentiero a metà tra i due mondi dei Vanhelgd si rivelerà degno di essere intrapreso.