Recensione: Temples of Madness
Ah, i Mythra…
Una delle band più promettenti della Nwobhm ma anche fra le più sfortunate.
La loro storia, in compagnia dei chitarristi John Roach e Maurice “Mo” Bates è stata recentemente e approfonditamente scandagliata dallo scriba all’interno della rivista cartacea Classix Metal Extra! numero 51, intitolato L’Altra Nwobhm.
Nati nel 1976 e assurti alle cronache del Metallo Britannico nel 1979 grazie all’ottimo The Death and Destiny Ep non seppero capitalizzare, sia per colpa loro che del loro entourage allargato, quanto di buono promettevano, dal momento che tutti e quattro i pezzi ricompresi dentro quel vinile griffato Guardian Records N’ Tapes, “Death and Destiny”, “Killer”, “Overlord”, “U.F.O.” rappresentavano altrettante perle di quel movimento poi passato alla storia come Nwobhm. Va ricordato, infatti, che nel 1979 i soli Saxon, fra i big, potevano vantare un lavoro ufficiale a 33 giri sul mercato (l’acerbo debutto “Saxon”, per l’appunto) mentre Iron Maiden e Venom se la giocavano ancora a livello di demo e singoli vari e i Def Leppard, come i Mythra, potevano poggiare su di un Ep. Il momento, quindi, per Roach & Co. era superfavorevole, avendo dalla loro del materiale di assoluta qualità, ma le cose non si incastrarono come avrebbero dovuto, tanto che poi la storia li avrebbe confinati nella ristretta cerchia delle migliori e più promettenti meteore dell’heavy metal britannico.
Un sussulto di interesse nei loro confronti risvegliò nel 1998, quando la British Steel senza il permesso della band e tirando a caso sui titoli di alcune canzoni licenziò sul mercato il comunque ottimo The Death And Destiny LP, ovvero tutto quanto realizzato dai Mythra sino a quel momento racchiuso in un disco solo.
Il gruppo, fra reunion e scioglimenti successivi diede poi alle stampe l’anonimo Still Burning nel 2017 che faceva seguito a una compilation, Warriors of Time: The Anthology. La partecipazione ad alcuni concerti per nostalgici tenutisi prevalentemente nel Regno Unito contribuì insieme con il Keep It True dell’anno passato a consolidare la convinzione dei Mythra che infatti in questo 2023 giungono al proprio secondo, di fatto, full length della carriera con Temples of Madness.
A sottolineare la credibilità dell’attuale formazione basta scorrerne i nomi: accanto agli storici John Roach e Alex Perry alle due asce e all’altro pilastro del gruppo Maurice “Mo” Bates passato al basso, troviamo Phil Davies alla batteria (già presente su Still Burning) e la new entry Kev Mcguire alla voce, anch’egli tutt’altro che un novellino, comunque.
Temples of Madness è un coacervo di sensazioni dal profumo Nwobhm lungo 47 minuti e declinato lungo dodici canzoni, tutte inedite. L’uscita, griffata Classic Metal Records, si accompagna a un libretto di dodici pagine con tutti i testi, le note tecniche di prammatica e alcune belle foto della band.
Per i Mythra il tempo pare essersi fermato, a partire da “Stabbed in the Back”, il brano posto in apertura del disco, sino all’ultima “Wild and Free” e quello che “arriva” è 100% british heavy metal classico dalla caratterizzazione decisa ma melodica. Kev Mcguire è cantante impostato che mai oltrepassa le righe e questo può rappresentare tanto un merito quanto un limite, in dipendenza dei vari punti di vista. La proposta espressa dai Mythra è parzialmente debitrice delle proprie radici, va però rimarcato che della componente acida degli inizi della loro carriera è rimasto poco. A livello personale mi sarebbe piaciuto se avessero osato maggiormente, su questo Temples of Madness, un po’ di sana ignoranza da parte di Mcguire ci poteva stare alla grande ma ciò non toglie che episodi quali le veloci “Failure of Fortune”, “The Reaper”, l’epica title track e la straclassica “Vertigo” non passino per nulla inosservati, confermando la buona fattura di un album quale Temples of Madness.
Stefano “Steven Rich” Ricetti