Recensione: Ten Miles Underwater
«Discesa nell’Abisso Blu. A cercare i miei sogni, le mie paure, le mie allucinazioni».
Una discesa agognata, progettata e finalmente realizzata in grande stile, quella dei francesi Atlantis Chronicles. “Ten Miles Underwater”, opera prima nonché concept-album che si basa sulle ipnotiche avventure dell’esploratore sottomarino americano William Beebe (29.07.1877 ÷ 04.06.1962), è il batiscafo sul quale la band sale, s’immerge e naviga nelle profonde acque oceaniche. Alla ricerca di nuovi mondi, civiltà estinte, città leggendarie. Perennemente avvolti nel silenzio, preludio di uno stato di allucinazione ove riesce impossibile distinguere la realtà dalla fantasia. Ambiente fertile per far nascere e crescere le più mirabolanti idee sì da coniugare nel miglior modo le avventure trasognanti di Beebe al micidiale deathcore scatenato dai cinque ragazzi di Parigi.
Prima di quest’album c’erano già stati dei tentativi in tal senso: un demo nel 2007 (“Silent Depths”) e un EP nel 2009 (“Against The Sea”) ma è solo ora, a otto anni dalla nascita, che il combo transalpino ha raggiunto l’ideale maturazione tecnico/artistica per sviluppare al meglio un’idea se non rivoluzionaria ricca di personalità e, soprattutto, foriera di progressioni tentacolari. Del resto, la Coroner Records ha fornito quanto necessario per far bene: il missaggio e la masterizzazione di Joshua Vickman ai Dreadcore Studio (Within The Ruins, Knights Of The Abyss, And Hell Followed With), e l’artwork a cura di Pär Olofsson (Job For A Cowboy, Zonaria, Miseration, Immortal, Exodus) hanno fatto sì che “Ten Miles Underwater” potesse avere, come ha, tutte le carte in regola per farsi notare nella sterminata marea di proposte che, oggi, affollano il mercato musicale internazionale.
Alex Houngbo e i suoi compagni, difatti, hanno una confidenza assoluta con i propri strumenti, e solo un processo produttivo professionale può rendere onore ai complicati, ma non astrusi, passaggi prog che segnano numerosi “Ten Miles Underwater”. Tenuto quindi conto che, in generale, lo stile degli Atlantis Chronicles è imperniato sugli stilemi più moderni del deathcore (per esempio Neaera), la naturale predisposizione della formazione medesima a spingersi, spesso e volentieri, nei complessi territori del progressive metal fa sì che il platter possa benissimo essere considerato un perfetto esempio di ‘progressive deathcore’.
Ecco, allora, che diventa quasi un impulso irrefrenabile cominciare l’epopea con “Enter The Bathysphere…”, sistemarsi nell’angusto spazio e prepararsi all’esplorazione di paesaggi mirabolanti quanto inquietanti, eternamente immoti nel loro universo colorato di blu. Poi, l’abbraccio alla vertigine, “…And Embrace The Abyss”, fuga ogni dubbio sulla proposta musicale degli Atlantis Chronicles: violentissimo deathcore, potente, robusto, veloce – a volte divergente in direzione della follia dei blast-beats – , il cui umore è perennemente calibrato su un tono drammatico che ben si sposa con lo spirito avventuroso dei testi. Non manca la melodia, ovviamente, ma è sempre dispensata con parsimonia. Anzi, a usare la bilancia, sono più pesanti le complicate divagazioni virtuosistiche delle chitarre (“Echoes Of Silence”) che le armonie accattivanti da mandare a memoria (“Thousands Carybdea”). A tal proposito, non si può non rimarcare l’eccezionale bravura dei due axe-man Houngbo e Jérôme Blanquez; capaci di sciorinare soli di tutto rispetto ma, anche, di costruire ritmiche assolutamente perfette nella messa e giorno del palm-muting. Di pari livello anche la sezione ritmica con il basso iper-dinamico di Mikael Rumbèbe e il drumming caleidoscopico di Sydney Taieb. Antoine Bibent capitalizza il grande potenziale tecnico dei suoi compagni interpretando le linee vocali con la caratteristica scabrezza dei generi *-core. Il risultato è un sound all’avanguardia, pulito, cristallino, possente; che dà luogo a uno stile ricco di carattere. Stile che parte dagli stilemi di base deathcore (gli immancabili breakdown…) per elaborare una ricetta equilibrata nei suoi ingredienti tecnico/artistici, culminante in una grande song: “Architeuthis Dux”, piena zeppa di pathos, di sentimento e di spessore emotivo. Pur essendo rude, al pari di tutti gli altri episodi del platter, come una mazzata sulla schiena.
“Ten Miles Underwater” dimostra che, tutto sommato, il genere suonato non esime da creare opere interessanti in tutto e per tutto, dalla musica alla prosa. A patto, però, che a monte ci sia una mano ricca di talento e abilità. Come in questo caso.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce
01. Enter The Bathysphere… 0:51
02. …And Embrace The Abyss 2:22
03. Echoes Of Silence 5:29
04. Thousands Carybdea 4:42
05. Homocene 3:31
06. Ten Miles Underwater 4:41
07. L’Ivresse Des Profondeurs 1:52
08. Architeuthis Dux 3:03
09. Tales Of Atlantis 6:07
10. Stomias Boa 3:26
11. Behold Kraken 4:08
12. William Beebe 8:40
Durata 49 min.
Formazione
Antoine Bibent – Voce
Alex Houngbo – Chitarra/Voce
Jérôme Blanquez – Chitarra
Mikael Rumbèbe – Basso
Sydney Taieb – Batteria