Recensione: Terra Impura
Nel Giappone del Cinquecento, i Basara erano una cerchia rilevante di samurai che agivano in modo indipendente, al di fuori di ogni regola convenzionale.
Marco e Tini, rispettivamente alla batteria ed alla chitarra, ispirati dal fascino che avvolge questi antichi guerrieri, formano nel 2014 i Basara. L’intento è quello di seguire il proprio istinto e di dare vita ad un progetto nel quale la musica estrema possa seguire percorsi diversi, tracciati da più generi. Nei due anni successivi si aggiungono, al duo veneziano, la voce di Josè ed il basso di Nicola: gli elementi mancanti per completare una band sostanzialmente di marchio hardcore ma che riserva, in ambito sonoro, interessanti sorprese.
Le inavvertibili movenze dei samurai in battaglia, i loro passi felpati e la violenza chirurgica delle loro armi vengono codificate in crude sonorità ed amplificate ad un livello estremo tanto da trasformarle in un rumore feroce ed immediato.
Le palpitazioni di un cuore impavido ed il sibilo di katane che smembrano vittime silenziose sono il preludio di “Terra Impura”: il primo full-length autoprodotto dai quattro ragazzi che sfoderano la propria lama esibendosi in quattordici rapide mosse. Una serie infinita di note rabbiose si susseguono sul filo di questa spada che viene fatta volteggiare da interminabili ritmi compulsivi e dinamici. I Basara vanno spesso a segno provocando diverse ferite e colpendo pienamente il bersaglio in brani come ‘Disagio’, ‘Blatta’ ed ‘Hibakusha’. Durante l’ascolto si notano molteplici e diversi cambi di tempo contraddistinti da frane inarrestabili di detriti sonori che improvvisamente rallentano la corsa, quasi per compiacersi dei danni provocati dal proprio passaggio. I riff di chitarra, corposi e frenetici, assumono forme differenti trasformandosi in scale euforiche ed uncini acuminati di atrocità sonante che restano aggrappati alla mente. Le urla di Josè sono come i vetri rotti da un sasso che viaggia contro il sistema, un macigno di collera che si scaglia contro un treno in corsa deflagrandosi in mille pezzi. Nel frastuono di “Terra Impura” rimbombano gli intermezzi estrapolati dai film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” ed “Accattone” di Pier Paolo Pasolini: fugaci raffinatezze culturali.
L’hardcore dei Basara non è dunque così scontato: un animale aggressivo e mordente nel quale serpeggia il carattere ruvido del grindcore sfamato dal metal più sano e ricercato che lambisce i confini di un genere ormai sterminato.
“Terra Impura” è un esordio piacevolmente violento composto da innumerevoli sfuriate sonore incalzanti e spunti di fiorente follia che si propagano ad ampio raggio sul territorio fertile della collera contemporanea.