Recensione: Terramare
Molto probabilmente solo l’Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa insieme con pochissime altre etichette in Italia poteva rispolverare un nome storico come quello degli Arpia, band romana attiva fin dal lontano 1984 e autrice nel 1995 dell’album Liberazione, dopo una trafila di demo tape spesso sperimentali. Il progetto, nato appunto poco prima della metà degli anni Ottanta, germogliò grazie alla spinta dei tre fondatori: Leonardo Bonetti (voce, basso e tastiere), Fabio Brait (chitarra) e Aldo Orazi (batteria).
Il loro intento non era quello di fermarsi al mero esercizio musicale, ma costruire un qualcosa che andasse al di là del concetto di canzone/concerto: quindi coinvolgimento di attori e mimi per tracimare anche all’interno della specificità teatrale che da sempre è intrinseco a qualsiasi loro composizione. Nel tempo la spinta verso soluzioni ritmiche più d’impatto che porta a un allargamento degli Arpia che si traduce nelle collaborazioni con Paola Feraiorni (voce) e Tonino De Sisinno alle percussioni. E’ di questi giorni l’uscita di Terramare, il secondo full length della loro lunga storia, interamente cantato in italiano.
Ritengo sia giusto sgombrare il campo dei dubbi fin dal principio: questo album non è assolutamente HM, si tratta di un dark prog-rock cerebrale dal sapore antico con excursus nel prog-metal per via del lavoro della chitarra di Brait, a tratti durissima. Il tutto concepito comunque come prodotto di non subitanea assimilazione, quindi gli amanti di sonorità scoppiettanti, happy e immediate – indipendentemente dal genere – sono avvisati…
Le influenze degli Arpia, quantomeno concettualmente, pescano a piene mani nel fantastico e irripetibile periodo d’oro del progressive italiano: gli anni Settanta. Terramare profuma di Pfm, Area, Banco del Mutuo Soccorso, Biglietto per l’Inferno e Balletto di Bronzo con delle sbandate controllate verso un sound moderno che permette al lavoro di non restare comunque cristallizzato in quell’epoca aurea.
Terramare. Fra gli episodi di maggiore spicco troviamo la splendida Umbrìa, dal riffing ipnotico e dalle tastiere fatate: per chi scrive il pezzo una spanna sopra al resto. Luminosa, suadente nell’incedere grazie all’arpeggio di Brait si sviluppa massiccia per il resto del brano, rivelandosi la traccia più heavy del lotto insieme con Libera, dal riff assassino.
Metrò viene purtroppo sfregiata da un testo volgare, sicuramente voluto dagli Arpia, ma a mio avviso assolutamente fuori luogo in un contesto di lyrics di livello come in Terramare, alcune delle quali, infatti, sono tratte da poesie di Torquato Tasso, Guido Cavalcanti e altri autori meno roboanti. Contrasto della Villanella sboccia granitica in virtù della voce aggiunta di Paola Feraiorni, Diana dà l’idea delle capacità canore e interpretative di Leonardo Bonetti mentre Mari è una canzone dalle due anime: cupa al punto giusto nei primi minuti e frizzante dalla metà in poi.
Terramare è un disco desueto, caparbio, per palati fini, di non facile assorbimento, affascinante e sfuggente, un’opera d’altri tempi targata 2006.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Tracklist:
01. Bambina Regina
02. Rosa
03. Diana
04. Monsieur Verdoux
05. Mari
06. Libera
07. Umbria
08. Luminosa
09. Metrò
10. Contrasto della Villanella
11. Piccolina
12. Terramare