Recensione: Terror Propaganda
E’ mai possibile recensire un disco dal nome di “Terror Propaganda” il giorno di Natale?
Se ci penso bene, di mio risponderei “…e perchè non potrei farlo?”. Cioè, in un Mondo ormai alla malora, dove pazzoidi mascherati si fanno esplodere in nome di qualcuno o qualcosa non tangibile a tutti gli effetti, oppure dove gli alti ranghi governativi si fanno sorprendere come autori di alcuni dei più grossi scandali che la storia umana ricordi, forse la mia azione è effettivamente un male minore, sempre che di ‘male’ si possa parlare, a livello effettivo.
E’ musica, è intrattenimento ma, nel caso specifico del black metal, alla fine tutto ciò non è altro che uno spettacolo macabro alla pari di un film horror, che non colpisce fisicamente ma ammalia a livello di atmosfera, di impatto e…ma vabbè lasciamo perdere certe giustificazioni personali: in fondo, a chi importa?
A qualche moralista di basso livello, forse. Qui si parla di musica, nulla più.
…e va bene, ad onor del vero, ammetto che bisognerebbe essere anche un po’ burini per fare una cosa del genere proprio il Giorno di Natale e pertanto, a scanso di equivoci, mi rivelo: sì, sono un burino. E grosso pure, musicalmente parlando: ho sempre amato le tamarrate, specie se di cattivissimo gusto ed orientate verso l’effetto shock contro il prossimo più facilmente suggestionabile.
Bene, adesso torniamo a noi!
I Craft, band svedese di culto del panorama black metal, nel 2002 pubblicarono questo disco, all’epoca invero piuttosto poco considerato e catalogato nulla più come un mero riciclo dell’operato darkthroniano, cosa abbastanza in voga in quelli anni (cioè sia dare dei cloni a tutto e tutti, sia clonare i Darkthrone).
Peccato che “Terror Propaganda” abbia superato, a differenza di tanti altri dischi effettivamente effimeri, la prova del tempo, dimostrando una malvagità di fondo che non è seconda a nessuno e che spesso sfocia nell’odio indistinto contro ogni cosa in grado di possedere un ciclo vitale, forse anche più del disco successivo, dall’emblematico titolo di “Fuck The Universe”, rilasciato l’anno successivo.
Solo che questo disco, rispetto al suo successore suona più crudo, secco, con una produzione volutamente sottotono senza mai scaturire nel ridicolo: la cassa è un colpo robusto, ricco di basse frequenze, in grado di arrivare dritto allo stomaco, mentre le chitarre sono quanto di più ‘raw ma con stile’ si potesse chiedere al periodo. La performance vocale assolutamente devastante ed orrorifica del singer Nox qui trova ancora maggiore enfasi che nei platter successivi, libero di scorazzare nei più ampi range esecutivi dell’odio grazie ad uno scream talmente tagliente da poter tranciare di netto la vostra giugulare solo immaginandolo.
Partendo con ‘Ablaze’ il piatto di odio parte immediatamente ad altissime velocità, il mix olocaustico di tensione e furia è immediatamente palpabile sin dai primi secondi esecutivi: un riff banale, vero, ma che nel marasma complessivo funge da perfetto apripista verso le terrificanti scorribande d’odio puro in cui questi svedesi a quanto pare amano sguazzare gioiosamente, rovesciando dosi strabordanti di maoschismo, furia, estasi del macabro e del perverso.
Tutte doti che nella successiva ‘The Silence Thereafter’ trovano i loro passaggi ideali di espressione.
The loneliness in a universe of unlimited creatures.
The undiscriminating hate, the curse of being a god.
The melancholy of ghosts haunting wherever we go.
We are their castles.
‘Noi siamo i loro castelli’ appunto.
Questo disco è a suo modo un ‘castello’, un oscuro maniero dove al suo interno aleggiano le più massacranti forze negative mai esistite, pronte a dilaniare la tua esistenza sotto l’effige di un suono dall’impatto totalmente necrofilo e devoto al morboso fascino della morte. Una perfetto Sabba di devozione verso il male più nero in pratica, dove un titolo come ‘Reaktor 4’ appare immancabilmente necessario.
Make our earth unhealthy.
Scourge the soil of God.
Your radiation of immense power.
The wind will pass it.
Signore e signori, inchiniamoci al culto del male più estremo che sia mai stato concepito.
Perchè, sound darkthroniano o meno, qui effettivamente siamo al cospetto di un platter dalla portata storica non tanto per il suo suono, a conti fatti non esattamente originale, quanto per la coesione eccellente tra attitudine, suono e liricismo. Un unico nocciolo rovente di pessimismo pronto ad esplodere in qualsiasi momento, pronto a portarsi appresso ogni stralcio di vita esistente, per abbracciare il tutto sotto le ali pestilenziali dell’eterno dominio del Mietitore.
Nessun compromesso, nessuna ricercatezza: un disco fo**utamente black metal come oggi forse non se ne fanno nemmeno più, dove l’estasi del terrore è appunto il fulcro dell’ispirazione che guiderà questi otto passaggi in crescendo verso un abisso senza fine, rappresentato ovviamente nelle urla di terrore, raggelanti nel loro essere disperatamente senza speranza, negli ultimi attimi del pezzo finale che dà il titolo all’intero lavoro.
Se oggi la gente parla tanto di questo disco un motivo ci sarà, solo che quelli come me se ne erano accorti già molti, molti anni prima.
L’odio senza tempo impresso su un solco può rivivere in eterno, se questo è puro: questo è uno di quei rari casi.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate…
(Dante Alighieri, La Divina Commedia)
Non per deboli di animo.
Uno dei tanti dischi a fungere da perfetta colonna sonora dell’Apocalisse.