Recensione: Tetragram

Di Riccardo Angelini - 2 Febbraio 2008 - 0:00
Tetragram

Questi ci sanno fare davvero. In barba un monicker forse fin troppo faceto (mai apprezzate queste corbellerie alfanumeriche) si cela un progetto da tenere attentamente d’occhio. I Looking 4 A Name nascono nel 2001 da un’idea del chitarrista Francesco Panico e del tastierista dei Fire Trails Larsen Premoli. Quattro anni di lavoro consentono alla band di mettere alla band un demo che non manca di attirarsi il plauso della critica. Infine, al tramonto dello scorso anno, la formazione – completata da Deneb Bucella al basso e Federico Ghioni alle pelli – completa il suo primo full-length.
Il concept di “Tetragram” colpisce immediatamente l’attenzione per la peculiarità della sua struttura: una tetralogia di suite a loro volta suddivise in quattro pezzi, ispirati agli elementi di terra, acqua, aria, fuoco. Una coppia di brani funge da introduzione, mentre un’ulteriore tetralogia (stavolta senza titolo) si pone a corollario dell’opera, per un totale di ben ventidue tracce – una buona metà delle quali contenute entro la soglia dei tre minuti.

Una simile frammentazione potrebbe apparire a un primo esame dispersiva, ma già al primo ascolto si rivela decisamente efficace: le quattro suite non mancano di omogeneità al loro interno e l’album tutto si dispiega con agilità senza perdere il suo fondamentale senso di unità complessiva. Unità garantita da una proposta matura e accattivante, figlia del progressive (soprattutto italiano) degli anni ’70 e rinvigorita da una sana dose di hard n’ heavy squisitamente anni ‘80. L’opener “The Beast” apre le danze col suo hard prog dinamico e spregiudicato, non privo di una certa vena oscura. La sezione ritmica si rivela subito uno dei punti di forza della band, fra accelerazioni incalzanti e repentini cambi di tempo. La solidità delle chitarre e l’ariosità avvolgente delle tastiere provvedono a intrecciare trame melodiche di grande raffinatezza, che coronano un refrain decisamente azzeccato. Unico appunto può essere rivolto alle parti vocali, affidate allo stesso Panico. Nonostante un’interpretazione sempre appropriata e sincera, certi passaggi (soprattutto per quanto riguarda le note basse) sembrano presentare qualche ostacolo, come si può notare per esempio sulla peraltro ottima “The Prisoner”: molto meglio l’apice del climax, aperto e solare – poi ripreso sulla stellare “Cracking The Sky” – rispetto all’inizio del crescendo, più cupo e meditativo. Inattaccabile dal canto suo il profilo strumentale, sempre coinvolgente, vivace e di alto spessore tecnico. Da premiare le prestazioni dei solisti, con tastiere e chitarre ancora una volta sugli scudi. Il discorso non cambia con la successiva “Water Suite” (la preferita di chi scrive), introdotta da una brillante “The Rover”, forte di un sontuoso tocco folk, vicino ai classici Jethro Tull ma anche (se non soprattutto) al progressive nordico dei primi Kaipa e The Flower Kings. Sezioni come quelle di “Flows” o “Breaking The Stone” sprigionano una vitalità straordinaria, grazie anche ai puntualissimi interventi di flauto di Massimiliano Ronchi, proponendosi tra i passaggi più ispirati dell’opera. Si abbassano un poco i toni con la multiforme “Air Suite”. Le linee vocali scricchialono di nuovo sull’impegnativa “Heaven’s Key”, ma il relativo appannamento viene subito fatto dimenticare dalla brillante “Fragile Existence”. Forte del contributo di Aurio Cabrini al sassofono, la band si permette qui una rapida incursione in territori jazz, prima del crescendo che porterà alle radiose sinfonie di “Home”. La componente sinfonica non va peraltro dispersa sulla seguente“Fire Suite”, che si propone di chiudere il quadro dei quattro elementi. La chitarre si irrobustiscono e torna alla ribalta quella componente heavy che gli ultimi brani avevano lasciato un po’ in secondo piano: la granitica “The Warrior” sfoggia un riffing roccioso, persino epico, che apre a una sezione mediana più concitata, con improvvisi cambi di tempo e tastiere abili nel calarsi sullo sfondo, in un certosino ruolo di accompagnamento. “Here Comes The Rain” sviluppa efficacemente le trame strumentali, fortificando l’elemento progressive da un lato e insistendo sul versante rock/metal dall’altro: la chiusura di pianoforte apre alla grandiosa “Play With Fire”, un altro degli apici compositivi del disco. Le tastiere, dopo un paio di ruoli da comprimarie, si riappropriano del centro del palco e si scatenano in un’esplosione di evoluzioni solistiche, dalle quali si sprigiona un nuovo crescendo, portato all’apice nella conclusiva “Lord Of The Night”.

Qualcuno potrebbe credere che il viaggio sia giunto al suo termine, ma resta ancora un’ultima tetralogia da scoprire. La durata dei singoli pezzi si allunga, la demarcazione fra l’uno e l’altro si fa più netta, così da indurre a considerarli quattro brani distinti più che un’ultima suite priva di titolo. La lunga strumentale “War pt. 2” mantiene l’accento epico della suite precedente, ma lo arricchisce con una ulteriore dose di prog/fusion: il risultato si colloca ancora una volta su livelli qualitativi decisamente alti. Più canonica la successiva ballad “Different But Equal”, che si assesta su coordinate piuttosto easy-listening efficaci per spezzare la tensione in attesa che “The Silence Of Death” vada a recuperare il tema principale dell’introduttiva “The Beast” per svilupparlo in una struttura che privilegia la componente progressive rispetto a quella hard. Di gran lustro il solo di chitarra finale, morbido e suadente, che si ricollega direttamente alla conclusiva “The Blindness Of A World”: qui in poco più di sette minuti e mezzo il brano ripercorre l’intero album, riunendo gli elementi essenziali del sound della band in un commiato di grande intensità emotiva.

Le buone premesse poste dal demo “Looking For…” non sono state disattese. Classe, tecnica e una buona dose di personalità rappresentano le armi vincenti dei Looking 4 A Name, formazione di gran carattere che rappresenta una delle più liete sorprese offerte dallo Stivale nell’appena trascorso 2007. Se pure qualche aspetto può essere migliorato (soprattutto a livello vocale), questo esordio è uno di quelli che meritano di non passare inosservati. Chi insomma fosse in cerca di un progressive robusto ed eclettico, suonato con perizia e lontano dagli stereotipi, troverà qui pane per i suoi denti.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. The Beast
2. Tetragram
– Earth suite
3. The Prisoner
4. Awakening
5. Foresight
6. Cracking the Sky
– Water Suite
7. The Rover
8. Flows
9. The Fall
10. Breaking the Stone
– Air Suite
11. The Thief
12. Heaven’s Keys
13. Fragile Existence
14. Home
– Fire Suite
15. The Warrior
16. Here Comes the Rain
17. Play with Fire
18. Lord of the Night

19. War pt. 2 (instrumental)
20. Different but Equal
21. The Silence of Death
22. The Blindness of a World