Recensione: The Aftermath
Mai e poi mai avrei creduto, pensato e ritenuto probabile di ritrovare sulla mia via i Midnattsol. Non tanto perché il gruppo a suo tempo fosse stato costruito come “la band della sorella di Liv Kristine” (che vabbé). A tutti gli effetti il buon debutto dei nostri aveva fatto passare la constatazione in secondo piano – e ben venga. Tuttavia le due prove opache (a dir poco) che avevano seguito detto debutto, unite a un silenzio che ormai perdurava da sette anni, lasciavano intuire che dei Midnattsol non si sarebbe sentito parlare facilmente.
Le cose sono cambiate, molto probabilmente, quando la Liv si è trovata appiedata dai Leaves’ Eyes. E la naturale conseguenza (Aftermath) è la scelta di ricontattare la sorellina e rimettere mano a un progetto che, se non muove in alto l’asticella della qualità musicale, sicuramente eleva il grado di testosterone dei fan di entrambe le Espenæs.
Sono il solito nevrastenico, lo so, ma assicuro che “Nordlys” e “Metamorphosis melody” mi hanno lasciato il dente molto avvelenato.
Ed è solo coi fatti che si può sanare quel dente. E non posso negare che in questo “The Aftermath” di fatti ce ne sono parecchi. Anzitutto la formula, che torna ad essere vincente. In un genere (female fronted gothic metal – FFGM) in cui il 90% dei gruppi costruisce tutto attorno a doti canore e leggiadrie della vocalist, il Sole di mezzanotte va oltre. Puntano tutto sul contrasto di voce tra soprano (Liv Kristine) e basso (Carmen Elise). Senza mai mischiare troppo, lasciando sempre il centro della scena a una delle due. Unica eccezione è la rivisitazione di “Herr Manneling”, peraltro ben riuscita senza scadere nel banale. Comunque, la spartizione vocale funziona.
L’album si risolve in una manciata di ottime canzoni tra il languido e il malinconico, tra cui si segnala sicuramente la title track, o anche le folkettose “Vem kan segla” e “Ikkje glem meg”
Oltre a questo si potrebbe contestare che, tolte le voci, questo album abbia poco da offrire. E invece no, nei Midnattsol ci sono dei bravi professionisti con delle discrete doti compositive. A scanso di equivoci, i nostri ci (si) regalano una piacevole strumentale (“Evaluation of Time”) di sette minuti – non esattamente un riempitivo. E poi, qua e là, in questo disco traspirano atmosfere dei Leaves’ Eyes, i primi Leaves’ Eyes, i veri Leaves’ Eyes, quelli di “Lovelorn” e “Vinland Saga”. Basta tornare alla già citata “Ikkje glem meg”, la bellissima “Forsaken”, forse il più bel pezzo dell’album o la bonus “Eitdropar”. Ma non sono qui a dire che il signor Krull, invece di cercare la formuletta vincente che accontentava tutti e faceva sembrare il suo gruppo identico ad altri 10 mila, magari, poteva lasciar più spazio alla sensibilità della sua ex consorte. Proprio no.
Insomma, in questo disco c’è quanto di meglio un genere non esattamente trascendentale quale è il FFGM abbia da offrire. Brave vocalist, bravi musicisti, canzoni leggeri ma costruite meravigliosamente per un’ora di musica malinconica e sognante. Dai Midnattsol non potevamo aspettarci di meglio.