Recensione: The Age Of Nero
Arriva per quasi tutti i gruppi il momento di tirare i remi in barca e andare avanti per inerzia. Un momento che nessuno dei fan
-almeno tra quelli che vivono la musica come qualcosa di più di un passatempo- si augura, ma che anche per i Satyricon sembra
essere definitivamente giunto con The Age Of Nero. Questa release era invero attesa al varco da tutti coloro che,
sottoscritto compreso, avevano nutrito serie perplessità sul corso intrapreso negli ultimi due album della storica band norvegese.
Dubbi che nascevano, almeno per quanto mi riguarda, non tanto dal progressivo distacco dalle sonorità che li avevano resi grandi,
quanto piuttosto da una certa piattezza nel songwriting e scarsità di idee.
Facciamo qualche passo indietro per tentare di inquadrare in breve il percorso che ha condotto a The Age Of Nero.
Dopo tre album che, per dirla in poche parole, hanno contribuito a scrivere la storia del black metal di scuola norvegese, i
Satyricon decretano con il quarto full-length Rebel Extravaganza (1999) la fine della loro era “classica”, per
orientarsi verso sonorità decisamente più moderne e meno ortodosse, senza tuttavia rinunciare al suono imponente ed oscuro che era
sempre stato marchio di fabbrica della band. Un album complesso, inquietante e misantropico, spesso ingiustamente sottovalutato, che
avrebbe potuto segnare la via per l’evoluzione futura del duo norvegese. Tuttavia la storia ci insegna che gli stessi
Satyricon non hanno voluto portare avanti le sperimentazioni di Rebel Extravaganza, preferendo con il
successivo e poco ispirato Volcano (2002) orientarsi verso una relativa semplificazione e l’inserimento di elementi
“black n’roll”, dando vita ad un lavoro poco coinvolgente, incerto nell’identità e troppo spesso prolisso.
Now, Diabolical (2006) aggiunge ben poco rispetto al predecessore, ma quantomeno si può constatare il tentativo di
ridefinire la proposta musicale della band in chiave maggiormente diretta ed immediata, puntando tutto sul groove e tentando, anche
a costo di risultare sin troppo “catchy”, di recuperare una certa omogeneità di fondo e una maggiore fluidità e godibilità dei
pezzi, anche se il risultato non è entusiasmente, complice anche l’eccessiva monotonia e ripetitività di certe soluzioni.
Questo ci riporta a The Age Of Nero. Il nuovo lavoro di Satyr e Frost si riallaccia pedissequamente a quanto i
nostri ci hanno mostrato nei due album precedenti, rispetto ai quali si pone in un certo senso a metà strada: la struttura dei brani
rimanda a Now, Diabolical, ma con un po’ di pesantezza e aggressività in più e una maggiore velocità qua e là. Tracce
dunque tendenzialmente lineari e monocordi, dai refrain semplici ed orecchiabili, prevalentemente impostate su tempi medi e
costruite sulla ripetizione ad oltranza degli stessi riff scarni e ossessivi. Black n’ roll dal mood a tratti “doomeggiante”,
incattivito da qualche elemento thrash e patinato da una spruzzatina di dark per dare un po’ di atmosfera al tutto.
Ma entriamo pure nei dettagli. L’opener “Commando” parte bene con un riffing thrash/black molto veloce e serrato, per poi
lasciare il passo al consueto schema: strofa groovy e cadenzata che sfocia in un refrain piuttosto piatto, ripetuto allo stremo,
finchè viene ripreso il riff iniziale, indubbiamente molto violento. Resta il fatto che siamo di fronte ad un pezzo un po’ fiacco,
che se la gioca per il posto di opener più insipida della discografia dei Satyricon, nonostante l’inserimento -per la verità
abbastanza estemporaneo- di un paio di passaggi tirati “di scuola” nel vano tentativo di renderlo più interessante. Ma è solo fumo
negli occhi. Infatti già la seconda traccia “The Wolfpack”, che sembra uscita dai B-side di Now, Diabolical, ci
riporta alla realtà: il solito mid-tempo cupo, monolitico e rockeggiante che si ripete ad oltranza, tra arpeggi dark e lo scream
“parlato” di Satyr ad aumentare la sensazione di tedio. “Black Crow on a Tombstone” è un pezzo roccioso e diretto in cui i nostri
azzeccano il riff giusto, potente ed accattivante, per poi -ahimè- scadere in un ritornello ruffiano e scontato, sul quale i nostri
ovviamente insistono ad libitum. La successiva “Die By My Hand” è probabilmente la traccia più aggressiva del lotto nonchè
quella che apparentemente più si discosta dallo stile di Now, Diabolical, piena com’è di passaggi tirati e furiosi (in
cui il buon Frost per lo meno può cimentarsi in un drumming più adatto alle sue doti), alternati a rallentamenti atmosferici in
concomitanza del refrain. Un pezzo discreto, seppure manca oggettivamente di freschezza e tende a perdersi sulla lunga distanza. “My
Skin is Cold”, che dava il nome al precedente EP dei Satyricon, è una di quelle canzoni che lasciano una sensazione di
incompiutezza, per cui sembra sempre che debba accadere qualcosa da un momento all’altro, ma non accade nulla. “The Sign Of The
Trident” mostra alcuni spunti interessanti soprattutto nei passaggi più ipnotici, ma rimane vittima della sua stessa lunghezza e
finisce per risultare monotona e farraginosa. Più breve e immediata, ma non per questo più interessante, è la successiva “Last Man
Standing”, traccia ancora una volta votata al groove e incentrata sulla ripetizione di un paio di riffoni molto old-school che,
purtroppo, non bastano a farla decollare. “Den Siste” è, quantomeno, una buona canzone cupa e inquietante di stampo doom/black,
cantata in norvegese, dove la ripetitività è messa al servizio di un’atmosfera maligna e disturbante, rafforzata da un incedere
imponente e da un sottofondo vagamente sinfonico che riportano alla mente per un istante ben altri Satyricon.
Che dire a questo punto? Può darsi che, se siete tra coloro a cui Volcano e soprattutto Now,
Diabolical sono piaciuti, possiate apprezzare anche The Age Of Nero. Del resto è un album che si lascia
ascoltare, contiene un paio di pezzi abbastanza validi, mostra qualche buon riff qua e là e ha una produzione più che adeguata. I
Satyricon, tuttavia, non sembrano intenzionati a spremere la propria creatività, preferendo adagiarsi su se stessi. È ovvio
che nessuno dei fan della band di Oslo -quantomeno, nessuno tra quelli realisti- si aspettava il fantomatico “ritorno al passato”:
in tal senso Volcano e Now, Diabolical erano stati categoricamente espliciti. Ma non è questo il punto.
La questione non ha nulla a che vedere con le scelte stilistiche adottate o con futili etichette di “true” o “non true” black, bensì
attiene alla volontà e alla capacità di progredire e rimettersi in discussione o, quantomeno, di dimostrare un minimo di impegno
creativo. Da questo punto di vista The Age Of Nero è poco diverso da un copia-incolla dei due album precedenti e non
mostra alcun tentativo di dire qualcosa in più, di andare oltre. Insomma, non sarà esattamente un “brutto” disco, ma è un disco
innocuo; innocuo nella propria mancanza di idee, di coraggio e di spessore. Un lavoro inoffensivo e il più delle volte noioso, che
lascia la spiacevole sensazione di aver richiesto, per la propria realizzazione, un coinvolgimento emotivo e un impegno
intellettuale pari a quello di sgranocchiare un pacchetto di patatine. In altre parole, hanno “timbrato il cartellino”. Per queste
ragioni esorterei, se solo fosse possibile, a non dare a questo The Age Of Nero più peso di quello che effettivamente
merita. Ma stiamo pur sempre parlando del nuovo album dei Satyricon, importante anche nella mediocrità.
Discutine sul forum nel topic relativo ai Satyricon
Tracklist:
1. Commando
2. The Wolfpack
3. Black Crow on a Tombstone
4. Die by My Hand
5. My Skin Is Cold
6. The Sign of the Trident
7. Last Man Standing
8. Den Siste