Recensione: The Age of the Offended

Di Daniele D'Adamo - 25 Agosto 2023 - 0:00
The Age of the Offended
Band: Cadaver
Genere: Death 
Anno: 2023
Nazione:
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77

Per i Cadaver, “The Age of the Offended” è il secondo full-length che arriva dopo la rinascita. Inattivi dal 2007 al 2018 per via di un cancro che ha colpito Anders “Neddo” Odden, quest’ultimo, dopo averlo sconfitto, ha dato alle stampe nel 2020 “Edder & Bile”. Il lavoro in esame è anche il secondo con il batterista belga Dirk Verbeuren.

Un power duo che mastica metal estremo. Death, in particolare. Death, bisogna dire, del tutto personale, in grado di essere riconosciuto univocamente come stile praticato dalla coppia belga-norvegese. Neddo ha formato la band nell’ormai lontanissimo 1988, per cui non si può non discutere di un bagaglio culturale immenso, di una solida e lunga esperienza che ha dato luogo a un background come pochi sulla Terra.

Così, “The Age of the Offended” diventa manifesto di uno sound che accomuna in sé thrash e black. Cioè, gli unici due generi attivi alla data di nascita. Al tempo, il death stava muovendo i primissimi passi staccandosi dalle razze predette per diventare qualcosa di unico, di davvero oltranzista. Una sorta di tana per i musicisti più violenti, musicalmente parlando, ovviamente, che, lì dentro, potevano dar sfogo alle proprie malsane nonché malate idee.

Il tempo passa, per cui, nel frattempo, è sorta una miriade di tipi e sottotipi. Ma a Odden ciò interessa poco o niente, poiché, anche in pieno 2023, non rinnega la propria fede, alimentata da una furia cieca, devastante, come se la rinascita tumorale avesse soffiato nuova vita nella sua bocca. Che, incurante di mode e orpelli, modula le linee vocali con cattiveria, aggressività ma, soprattutto, follia. Follia che rende le linee stesse del tutto imprevedibili come accade, per esempio, nell’heavy metal deathizzato di ‘Deadly Metal’. La suddetta imprevedibilità è un segno caratteristico del modo di cantare del Nostro, giacché innesca l’effetto sorpresa: sarà growling, saranno harsh vocals ruvide come la carta vetro a grana grossa, sarà cantato pulito, sarà cantato urlato e stentoreo?

Comunque sia, Anders Odden mostra con estrema semplicità il proprio talento nel saper modificare la propria ugola a suo piacimento, risultando sempre originale, tradizionale, imprevedibile, piacevole da ascoltare in ogni frangente del disco.

Ma Odden è anche chitarrista oltreché bassista. Un chitarrista classico, senza fronzoli, i cui riff si schiantano al petto di chi gli si pone davanti. Niente di trascendentale eppure, anche in questo caso, il modo di forgiare gli accordi di chitarra è sostanzialmente unico all’interno del suo raggio di azione che, come detto, è il metal estremo. Si può chiamare come si vuole, anche grindcore, tanto ciò che vince è la riconoscibilità, come si può apprezzare nella closing-track ‘Freezing Isolation’, ove si possono digerire, se ci si riesce, orpelli solisti che trafiggono, lacerano, squartano la carne.

La sezione ritmica è possente, pesante, asfissiante nell’elaborare continui cambi di tempo, che si trovano a loro agio sia quando trattasi di mid-tempo, sia quando a oggetto ci sono i tremendi blast-beats che eruttano dalla batteria di Verbeuren (‘Postapocalyptic Grinding’, ‘The Drowning Man’). In ogni caso, nel passaggio dai BPM minori a quelli maggiori, non si odono né discontinuità, né battute a vuoto. Niente, giacché Neddo cuce il tutto alla perfezione con il suo basso, dando al sound potenza da vendere. Non mancano neppure inserimenti ambient e/o di tastiere, che lavorano in sottofondo per inspessire un suono di per se già monolitico (‘Scum of the Earth’).

Un po’ dispersivo il songwriting. È bene rilevare, anzitutto, che non si tratta di un difetto grave, tant’è che può essere addirittura interpretato come un pregio. A parere di chi scrive, però, la tendenza di Odden a variegare il proprio stile è leggermente esasperata. Come se avesse dentro una quantità abnorme di rabbia da sfogare, realizzando quindi canzoni sì obbedienti alla foggia musicale che identifica il combo di Antwerp/Råde/Fredrikstad, ma – una volta tanto – dando luogo a brani forse troppo distanti l’uno dall’altro.

A parte quest’ultima sensazione, “The Age of the Offended” è un LP perfettamente realizzato in ogni sua parte. Del resto, la bravura di Anders “Neddo” Odden non si discute. Così come la sua ferocia musicale e la sua voglia di spaccare il Mondo. Per questo, il platter si rivela ideale se qualcuno volesse radere al suolo la propria camera.

Daniele “dani66” D’Adamo

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