Recensione: The Arrow Of Satan Is Drawn
Quando si parla di Bloodbath si mettono subito in chiaro un paio di cose: la prima è che trattandosi di un vero e proprio supergruppo, ci si appresti ad accogliere un lavoro di alto livello, la seconda è che ne uscirete a brandelli; letteralmente. A 4 anni di distanza dal precedente e notevole Grand Morbid Funeral, il combo composto da “Old Nick” Holmes (Paradise Lost), “Blakkheim” (Katatonia), “Lord Seth” (Katatonia) e “Axe” (Opeth) torna a lavare i peccati del mondo con un bagno di sangue pronto a mettere a ferro e fuoco i palchi di mezza Europa e non solo. Per ora, supportati dal nuovo chitarrista Joakim Karlsson (Craft) e in attesa che l’imminente tour con Kreator, Dimmu Borgir e Hatebreed prenda il via, abbiamo modo di assaporare le nuove dieci coltellate nel fegato di sano death metal, che mai come in questa occasione assumono sfumature più scure, volontariamente tendenti al black, proprio come Blakkheim sostiene.
Nick Holmes tiene il microfono dei Bloodbath in mano per il secondo album e lo fa con la competenza che lo contraddistingue da sempre, gettandoci in faccia una serie di lyrics putride e che rappresentano al meglio il mood dell’album, ovvero il cupo riflesso della situazione attuale di ciò che ci circonda. Un sound affilato, condotto da chitarre graffianti e ritmiche serrate sono il perfetto principio di tutto e la stessa fine di ogni cosa, come per quanto riguarda l’opener Fleischmann, un autentico mattone death metal che ti arriva nei denti e non contento di averti tramortito, ti assale con sconfinamenti black, esattamente come promessi dal chitarrista storico della band. “Hell The Final Resting Place To Be” – è così che recita la traccia successiva, di sicuro successo in sede live, ritmata e feroce come ciò che rappresenta, un Bloodicide, interpretabile come “assassinio di sangue”. Wayward Samaritan è più tradizionale e con un testo in parte quasi grottesco, a tratti simile alla successiva Levitator che però ci arriva nei timpani con quel suo riff massiccio e spesso come il sangue di questo massacro sonoro, a dimostrazione che spesso non è la velocità che rende una canzone più estrema. Certo, ma sa fare anche questo ed a quel punto frantuma tutto ciò che le sta attorno, rappresentando uno degli indubbi apici dell’intero album. Deader è molto articolata, sa di vecchia scuola e accoglie sfuriate più melodiche in pieno stile thrash, rendendo accessibile il gruppo anche a chi non si era mai fatto toccare da questo “bagno di sangue” svedese. March Of The Crucifiers e Morbid Antichrist seguono in rapida successione, con la prima che non conosce mezze misure, grazie a chitarre con riff strascicati come gli ultimi vostri passi verso il patibolo, mentre la seconda è più veloce ma altrettanto putrefatta e pungente. Warhead Ritual trafigge la decadenza del mondo con un muro sonoro di tipico death metal scandinavo, pone omaggio alle origini della band più di ogni altro brano del disco e introduce Only The Dead Survive, episodio che imbraccia sfumature black in maniera più vigorosa, trasmettendo una sensazione di vertigine simile all’essere in bilico sull’orlo dell’abisso. Ti ritrovi attratto da quel buio apparentemente infinito e finisci per caderci dentro, tramortito da un orrore strutturalmente intelligente e che dimostra quanto la band possa contare sulla maturità artistica degli strumentisti – questa è Chainsaw Lullaby, che chiude un disco che magari non inventa nulla di nuovo, ma permette di trascorrere attimi di violenza pura come pochi altri lavori contemporanei.
The Arrow Of Satan Is Drawn suona fuori dal tempo, è temporalmente poco classificabile e per questo suona fresco, soprattutto nel calderone che è diventato il metal estremo oggi. La produzione è ottima e mette in risalto le chitarre maciullatrici, autentico marchio di fabbrica della band. I Bloodbath sanno cosa serve per scrivere ottime canzoni in grado di trascinare le folle in sede live e questo album ne ha ben dieci. C’era spazio per fare qualcosina di più, ma non mi lamenterei più di tanto, anzi me lo riascolto un’altra volta e so che lo farete anche voi. Aggiungete nel calderone anche le illustri comparse di tre illustri ospiti britannici come Jeff Walker (Carcass), Karl Willets (Bolt Thrower/Memoriam) e John Walker (Cancer) ed avete un altro buon motivo per non farvi scappare questo album.
Brani chiave: Bloodicide / Levitator / March Of The Crucifiers / Chainsaw Lullaby