Recensione: The Atlantean Afterlife (…Living Beyond)
La parabola artistica di Antonio “Tony Tears” Polidori germoglia nel 1988 e si spalma lungo una decina di album, frammista ad altre esperienze e collaborazioni con band di culto quali Zess, Abysmal Grief, Soul Of Enoch, Helder Rune. Una carriera di spessore, che alterna momenti di luce ad altri meno scintillanti, come è giusto che sia per un sognatore e per certi versi un idealista come Polidori, da sempre dedicato allo studio dell’ignoto e dei fenomeni paranormali. Sperimentare senza uscire dal sacro solco del dark sound, questo potrebbe essere il mantra della formazione ligure che in questo 2021 licenzia, sotto l’egida della Bloodrock Records, l’ultima propria creatura a 33 giri: The Atlantean Afterlife (…Living Beyond).
La confezione che avviluppa il vinile riporta agli anni settanta, quando le grafiche erano un tutt’uno con la musica e non un mero strumento per attirare l’attenzione. Il cartonato gatefold (apribile a doppia anta) presenta sulla prima delle foto dei singoli membri appartenenti la band con delle maschere dai diversi colori, sicuramente ognuna con il proprio significato recondito, mentre la seconda è a completo appannaggio dei testi. Intrigante poi l’inserto posto in una delle due “tasche”, un cartonato con raffigurati quattro membri mascherati dei Tony Tears in mantello nero radunati intorno a un braciere all’interno di un’ambientazione gotico-decadente mentre l’altra facciata lascia spazio alla sola Sandra Silver, personaggio intrigante dell’heavy italiano dal passato illustre (storiche le sue collaborazioni con Death SS e Paul Chain).
The Atlantean Afterlife (…Living Beyond) si snoda attraverso otto tracce ben prodotte per cinquanta minuti di musica, con il lato 1 maggiormente votato al Prog e il lato 2 più legato all’heavy doom classico. La formazione schiera, oltre a Polidori (chitarra, tastiere, organo), David Krieg e Sandra Silver alle voci, Artorias al basso e Lawrence Butleather alla batteria.
Il viaggio all’interno del disco dalla copertina color rame parte sulle note della sinistra “Il Ritorno del Globo Alato”, che alterna parti recitate ad altre cantate e affonda le proprie radici nel più nero Prog italiano dei seventies. A costituire la linfa vitale di tutto il disco vi sono infatti i rimandi alla tradizione del dark sound di Antonius Rex e Jacula tanto quanto, riguardo i passaggi più heavy, le band dal sound in chiaroscuro della Nwobhm, con in testa Witchfinder General e Witchfynde, senza per questo dimenticare la solida tradizione tricolore. “Cristallo Nero di Astar” è il perfetto esempio della collocazione della lezione settantiana nostrana all’interno di “The Atlantean Afterlife” (…Living Beyond). “Il Messaggio della Rosa Rossa”, dai rimandi cinematografici horror, si insinua sottopelle e la prima facciata dell’Lp si chiude per il tramite de “Il Cantico delle Piramidi”, con Sandra Silver sugli scudi in veste di predicatrice.
Cambio di lingua, dall’italiano all’inglese, sul lato B del vinile, che con “Twelve Astral Planets” inaugura la side heavy del lavoro, con chitarre più presenti e un generale aumento del carico metallico, senza mai esagerare, però. Polverosissimo il suono di “The Eye of Horus”, vicinissimo ai Death SS sussurrati del periodo Sanctis Ghoram/Paul Chain. Pregevole il solo d’altri tempi di Polidori. L’heavy rock lineare di “Black Temple Secret” funge da traghettatore per la title track, che chiude il disco, sulla spinta di una ritrovata verve Prog malata, dall’incedere lento ma inesorabile e dal finale aperto…
Questo album è dedicato ad un culto destinato a tornare e che è alla base di tutti i Culti del nostro Mondo, l’equilibrio perfetto fra Magia e Reincarnazione. Tuttavia, questo è già accaduto più volte nell “Aldilà Atlantideo”!
Anthony “Tears” Polidori
The Atlantean Afterlife (…Living Beyond) va a costituire un ulteriore, importante tassello all’interno della parabola artistica dei Tony Tears. Un disco che fa della tensione la propria peculiarità ma, si badi bene: essa si mantiene serpeggiante, mai evidente, a fornire la giusta dose di mistero al Doom di marca italica sprigionato dal combo ligure.
Stefano “Steven Rich” Ricetti