Recensione: The Atlantic Years 1984-1990

Di Mickey E.vil - 8 Giugno 2023 - 8:00
The Atlantic Years 1984-1990
Band: Ratt
Etichetta: BMG
Genere: AOR  Hard Rock  Heavy  Rock 
Anno: 2023
Nazione:
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90

La scena glam/hair/street di Los Angeles viene celebrata per la terza volta nel giro di pochi mesi dalla BMG Records che – dopo averlo fatto con Mötley Crüe e Dokken – offre i Ratt in pasto a vecchi e nuovi fan affamati di una musica che oggi non si fa più. Punto e stop. O meglio, la si fa ma senza lasciare quel segno eterno che garantisce lo status di leggenda a chi la realizza. Chiudiamo dunque gli occhi, accendiamo lo stereo (non il lettore mp3, please) e riapriamoli accecati dalle luci della metropoli californiana.

L’importante label, nel caso dell’edizione in vinile di questo boxset, offre qualcosa di più rispetto alle due uscite precedenti. Oltre agli album rimasterizzati, i fan potranno infatti trovare la ristampa del raro 7” Nobody Rides For Free ma anche un plettro con logo, la replica di un tour book, un adesivo da paraurti, un pass per il backstage ed un poster. Dunque un vero e proprio collector’s item. Nulla di nuovo sotto il sole invece, per quanto riguarda l’edizione in cd: né brani bonus né altro, anche se non è poco acquistare con una cifra non esosa la discografia essenziale e rimasterizzata dei Ratt.

Nel 1984 vede la luce Out Of The Cellar, fulminante album debutto di una band già esplosa nel circuito rock losangelino grazie al successo riscosso con l’ep precedente. Prodotto dal debuttante Beau Hill, che in seguito ritroveremo dietro il mixer insieme a molte altre band (Europe su tutti), il disco viene trainato dal coinvolgente ritmo di ‘Round And Round’, che molti anni dopo farà ballare Mickey Rourke (The Wrestler) mentre condivide un’analisi della musica degli anni Ottanta, allo stesso tempo miope ed adorabile («Poi è arrivato quel finocchio di Cobain a rovinare tutto!»). A differenza di Dokken e Crüe, i Ratt sono caratterizzati dalle twin guitars di Crosby e DeMartini, pronte a duellare o a procedere insieme armonizzando gli assoli. Memorabile in questo senso la conclusiva ‘Scene Of The Crime’ che insieme al resto dei brani definisce il sound tagliente del quintetto.

Invasion Of Your Privacy rinnova la collaborazione con Hill alla produzione (coi Ratt fino al quarto lavoro), che garantisce un sound ancora una volta roccioso ma anche più pulito. Ciò è evidenziato dall’inclusione della prima ballad nella discografia dei Ratt, ‘Closer To My Heart’, caratterizzata da un sapiente uso di armonie vocali, arpeggi cristallini e assoli intrisi di blues sin nel midollo. I Ratt non spingono mai il piede sull’acceleratore, preferendo mid-tempos (‘Lay It Down’ e ‘Between The Eyes’) adatti ad un viaggio a velocità moderata, coi finestrini abbassati per sentire il vento californiano sul volto. Questo non significa che la carica aggressiva sia mitigata, anzi: basta ascoltare ‘What You Give Is What You Get’ per dormire sonni (poco) tranquilli.

Con Dancing Undercover la band diventa protagonista della copertina del disco, che per la prima volta li raffigura in luogo della modella di turno. Il tasso di grinta dei Ratt si alza notevolmente e la musica della band comincia a comparire su pellicola: l’opener track ‘Dance’ la si può infatti sentire in un episodio di Miami Vice e ‘Body Talk’ viene inclusa nella colonna sonora de Il Bambino d’Oro con Eddie Murphy. Si torna ad eliminare le ballate per dare maggior spazio alla carica aggressiva dei cinque: proprio ‘Body Talk’, dopo un’ingannevole intro dai toni delicati, esplode in un riffing quasi power/speed rinforzato dall’uso della doppia cassa. Immancabile, in ogni caso, il blues crepuscolare che lascia la sua traccia in brani come ‘7th Avenue’.

Reach For The Sky, con la sua copertina di stampo surrealista, è l’ultimo album con Beau Hill alla produzione ed il primo a non incontrare in maniera unanime l’approvazione della stampa. Chissà come mai, dato che tutto sommato brani come l’opener ‘City To City’ e ‘Chain Reaction’ garantiscono una continuità stilistica in linea con l’album precedente. Certo, c’è anche spazio per atmosfere più scanzonate, come dimostra la briosa ‘What’s It Gonna Be’ e inoltre con ‘I Want To Love You Tonight’ i Ratt reintegrano nella tracklist la canonica power ballad. Ma il disco comunque scorre via liscio come tutte le produzioni della band contenute nel boxset. Una curiosità: alcuni brani verranno usati da wrestler professionisti, anticipando così il legame tra i Ratt e la disciplina sportiva celebrata dal film con Rourke.

È Detonator l’album che sancisce la fine dell’age d’or dei Ratt. La copertina post-apocalittica pare essere un oscuro presagio dell’ombra che calerà sulla band, culminando con la tragica morte del chitarrista Robbin Crosby nel 2002 (da tempo schiavo della tossicodipendenza). Non aiuteranno nemmeno la svolta quasi-pop imposta dal nuovo produttore, Desmond “Re Mida” Child, e lo special guest Jon Bon Jovi dato che parliamo del 1990, preludio ad una nuova era del music business. Il disco è oggettivamente più debole dei suoi predecessori anche se oggi qualcuno acquisterebbe con gioia un lavoro così dannatamente rock’n’roll. Certo, se contestualizziamo il tutto ricordando che un anno prima era uscito un certo Dr. Feelgood, vale a dire la perfezione in musica, ci rendiamo conto di quanto Detonator fosse un disco con poche chance.

Concludendo, ancora una volta un’operazione encomiabile da parte della BMG: oggi più che mai è necessario rianimare il cadavere del rock non solo con discutibili nuove proposte mainstream ma anche ricordando a chiunque voglia liberarsi dalle ingombranti catene dell’omologazione che qualcuno ha fatto la storia, in passato. Senza social media, reality o contest di sorta, bensì muovendosi tra fetidi vicoli metropolitani e lussuosi uffici di grosse etichette discografiche che un tempo credevano in questi (veri) disadattati.

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