Recensione: The Battle Rages On…
Per illustrare degnamente le qualità che questo “The battle rages on” sprigiona attraverso i pori di questi distinti ma arzilli signori è doveroso prima un excursus storico. Il primo incontro, organizzato da tre produttori (Chris curms, Tony Edwards e John Coletta), nel Febbraio del 68 che vede protagonisti Jon Lord (09/06/41), Ritchie Blackmore (14/04/45) e Nick Simper (03/11/45) è soltanto il primo scalino del progetto Deep purple. Si aggiungono alla ciurma quasi instantaneamente Rod Evans (19/01/47) e Ian Paice (29/06/48). La band prende il nome di Deep purple. Escono i primi due lavori: “Shades of Deep Purple” prima e “The Book of Taliesyn” poi. In questo modo la band comincia lentamente ad emergere nella scena del tempo. Tuttavia il punto di svolta arriva con la dipartita di Rod Evans e Nick Simper seguita dall’arrivo di Ian Gillan (19/08/45) e Roger Glover (30/11/45) che andranno così a completare la band nella sua formazione storica, la formazione delle stelle,delle esagerazioni, dei capolavori ma purtroppo anche dei litigi. Personalità incongruenti che a fatica riuscivano ad andare avanti in quegli anni in cui proprio la ribellione era il senso stesso della loro musica. Fatto sta che dopo album come “In Rock”, “Machine head”, “Fireball” la reunion di “Perfect strangers” ed il comunque ottimo “The house of blue light” la combo iperstorica torna sul mercato nel 1993 con “The battle rages on”, disco che riesce a riprendere in maniera sintetica ciò che di più buono è stato fatto dalla band senza scomodare fantasmi del passato.
Il lavoro si aggira su di un granitico Hard Rock (tipicamente anni 80) che solo quell’esperienza tipica di un gruppo con anni di musica alle spalle sa tirar fuori. L’album non disdegna venature blues denotate in “One man’s meat” e tirate Heavy degne del miglior Steve Harris venute fuori da branid el calibro di “A twist in the tale”. La title track in apertura è un cazzotto musicale in quanto a pesantezza e decisione della struttura melodica e ci vuole proprio la spensieratezza Rock di “Lick it up”, “Talk about love” e “Ramshackle man” per portare il disco su livelli sonori più ragionati e meditati. Chi approfitta della semplicità delle sue note a dispetto di un testo provocante è invece “Time to kill”, ottimo brano dall’interessante ritornello. Inpreziosiscono il tutto le altre due perle: “Anya” e “Solitaire”. La prima, uno sguardo all’ epico futuro di Blackmore che gia ha negli occhi ma soprattutto nelle orecchie il progetto da condividere con Candice Night; la seconda una semiballad dal testo malinconico e dalla composizione impeccabile arricchita dal notevole feeling di Gillan. Peccato che una formazione del genere sia andata sciogliendosi ormai definitivamente. Con tutto l’ amore per Blackmore e dei suoi odierni progetti la mossa di lasciare una band chiamata Deep purple durante un tour mondiale, (già ma tanto è uno dei tanti), non è stato certo il massimo per i fans e nei confronti di chi ha contribuito al suo successo con altrettanto sudore. Ma forse sono proprio queste le cose che ci fanno amare una band e che ci fanno decretare a piena voce che i Deep Purple rappresentano la vera essenza del rock.