Recensione: The Best Is Yet To Come
Anche per gli Hartmann è giunto il momento di celebrare la propria carriera nel migliore dei modi, grazie ad un greatest hits, intitolato “The Best Is Yet To Come”. Ovvero presente, passato e… possibile futuro.
Oliver Hartmann non ha bisogno di presentazioni: musicista a tutto tondo, dopo collaborazioni del calibro di Helloween, Edguy e Avantasia (solo per citarne alcuni) e un passato da leader negli At Vance, decide di fondare la band che porta il suo nome. Tenendo le redini del songwriting, il singer- chitarrista decide di spostare le proprie coordinate musicali da un sound epico e magniloquente ad uno stile melodico di matrice AOR, mantenendo intatto il gusto spiccato per la melodia e per gli arrangiamenti.
Sebbene sia consigliabile ascoltare una discografia (o almeno un album) nella sua interezza per carpirne l’essenza più profonda, tutto sommato questa compilation rappresenta un modo più che valido per assaporare la poetica di Oliver, ben rappresentata fin dall’iniziale “All My Life” (tra l’altro opener dell’album “Balance”, 2012), che riassume perfettamente le abilità di Hartmann nel creare armonie avvolgenti: il pattern si sviluppa a spirale, delineando un groove contagioso che cattura l’ascoltatore fin dal primo istante.
Sempre da “Balance”, ecco la tripletta formata da “After The Love Is Gone”, “Save Me” e l’emozionale “Like A River”, un ensemble che riunisce energia e raffinatezza: l’inserimento di “Save Me”, infatti, nasce dall’esigenza di un rock energetico e trascinante che bilanci l’atmosfera sofferente di “After The Love Is Gone” e l’esistenzialismo di “Like A River”, dipinto da melodie sontuose, un mosaico di chitarre a tutto volume e linee vocali che richiamano in causa i maestri Whitesnake.
Il concetto di un rock frenetico ed instancabile viene ribadito dall’accostamento dell’opener con “Alive Again” e trova continuità nella ritmica “rimbalzante” di “Right Here Right Now” (direttamente dall’album “3”, 2009), memore della canzone pop-rock “On Rebound”, firmata Russ Ballard. “Right Here Right Now” non rinuncia comunque alla chitarra sanguigna né ad un refrain intenso, scritto seguendo una metrica dilatata sulla quale Hartmann canta disinvolto e senza cedimenti.
Non poteva mancare nella raccolta la title track del debut album “Out In The Cold” (2005), che ribadisce la forte coesione tra testo e musica: il paesaggio freddo e surreale prende vita grazie agli archi d’apertura, i quali avviluppano le chitarre rampanti producendo un effetto sinfonico originale e pregevole. La dialettica tra liriche e songwriting permane immutata anche nella successiva “Crying” (proveniente da “Home”, 2007), che spazza la patina di gelo di “Out In The Cold” con un blues’n’soul caldo e assolato nel chorus struggente; “Crying” è anche il palco ideale dove il frontman sfoggia influenze del passato (David Coverdale), prima modulando una voce profonda (in sinergia con i tocchi languidi della chitarra), poi accentuandone l’intonazione in corrispondenza del repeat; unica divagazione, il trastullo della tastiera (dai suoni vicini al “dimenticato” organo hammond).
La proposta prosegue all’insegna delle power ballad “The Sun’s Still Rising” (sempre da “Home”) e “Don’t Give Up Your Dream”, brani che si tingono di speranza e determinazione: nella prima, assume rilievo un basso vorticoso che si arresta solo in corrispondenza del main vox, abile nel far risplendere l’armonia del chorus; a metà canzone, il basso procede roboante e si unisce a una sessione chitarristica grave, dalle tonalità scure, che si sposta verso linee più acute e melodiose nel pattern risolutivo (prima dell’immancabile repeat).
Più soffusa è l’apertura di “Don’t Give Up Your Dream” (pubblicato nell’album “3”), impostata sull’arpeggio e guidata dalla voce, mentre sullo sfondo aleggiano le malinconiche suggestioni di un flauto; nel proseguo della canzone, la chitarra si destreggia tra ritmiche sincopate e stacchi solistici frenetici ma l’ultima parola va all’abbraccio tra acustica e flauto, per un triste commiato.
La chitarra lanciata a tutto volume ritorna in “What If”, estratto da “Out In The Cold”, un brano che si avvale dell’immancabile collaborazione tra frontman e voci corali, che si elevano creando un muro sonoro irresistibile.
Tuttavia, non può che destare una certa perplessità l’inserimento di “Suddenly” (ancora tratto da “3”), outsider che ruba il posto a candidati ben più blasonati (“From A Star” su tutti): infatti, confrontato con le altre canzoni, il brano ricopre lo “scomodo” ruolo di riempitivo tra “What If” e “Save Me”, offrendoci l’onnipresente climax vocale (voce controllata-voce più sostenuta), con l’aggiunta di un mid tempos, dove le tastiere abbracciano la voce quasi estraniata del singer.
Del tutto condivisibile, invece, la scelta di porre in chiusura “Coming Home To You” (song dall’andamento mutevole, presente in “Home”) e la poetica “Into The Light”, ballad illuminata dal chorus solare che cresce radioso come un bagliore di luce diradando le tenebre.
In definitiva, “The Best Is Yet To Come” è una compilation che ha il merito di definire l’elemento distintivo della musica firmata Hartmann: l’ottimo bilanciamento tra tecnica e ricercatezza compositiva.
A differenza della maggior parte delle raccolte, l’ascolto prosegue disinvolto grazie alla forte coesione stilistica tra i brani: non si avverte quella sensazione di disorientamento tipica delle operazioni di “copia e incolla”, che spesso risentono del gap generazionale, dovuto all’evoluzione del suono.
Il tutto risulta ancora più appetibile grazie all’aggiunta delle versioni live di “Brothers” e “Music”: “Brothers”, registrata al Colos-Sal (Aschaffenburg, 2009), vede la partecipazione straordinaria di “Mr. Edguy”, alias Tobias Sammet, con il quale Hartmann si alterna alla voce, creando un binomio tra l’ugola profonda di Oliver e quella lacerante e più acuta di Sammet, che confluiscono all’unisono nel declamare il ritornello mentre il drumming si distingue per intensità e vigore notevoli.
“Music”, cover della celebre hit di John Miles, si distingue per l’esecuzione perfetta di voce e chitarra acustica, canzone che era già stata pubblicata nell’album “Handmade/ Live In Concert” (2008). Tuttavia, è lecito chiedersi se i curatori della raccolta abbiano tralasciato un dettaglio importante ossia il target a cui è rivolto questa compilation. Un auditorio che considera il valore del disco nella sua totalità è spesso refrattario a simili logiche di mercato, ben più adatte ad un altro tipo di pubblico.
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