Recensione: The Book of Ogan
@DaveMustaine
Listening to Orden Ogan. Anyone heard of these guys before? Pretty cool methinks. What is an Orden Ogan anyway? =)
Il 26 ottobre 2012, Padre Mustaine benediva via Twitter un gruppo dal nome almeno singolare a suo dire. Orden: in tedesco, Ordine. Ogan: dal celtico, Paura. Non è il loro primo nome però e nemmeno quello più strano. Infatti esordiscono nel 1996 come Tanzende Aingewaide. Solo nel 1997 rilasciano il loro primo demo intitolato “Into Oblivion” a cui seguiranno, a distanza di un anno, altri due demo rispettivamente intitolati “Anthem to the Darkside” (1998) e “Soli Deo Gloria” (1999) (include, tra gli altri, due brani che verrano pubblicati in seguito ‘Angels War’ e ‘The Mystyc Prophecy’). In pratica negli stessi anni in cui i Blind Guardian rilasciavano uno degli ultimi e più alti esempi di metal classico dell’ultima decade “Nightfall in Middle Earth” (1998), delimitando una fase d’oro per la classicità e per i generi da esso derivati, gli Orden sperimentavano, provavano in studio ed erano quindi ancora alla ricerca di una propria via. Poco conosciamo di quei demo se non che i brani erano metal classico con innesti folk e in fondo la maggior parte di noi, non fosse per Youtube galeotto, non potrebbe nemmeno conoscere il loro album d’esordio (mai pubblicato ad oggi da una label e considerato quindi come pubblicazione non ufficiale) “Testimonium A.d.” del 2004. Il disco infatti è diventato, nel corso degli anni, oggetto di culto per collezionisti, cacciatori di vampiri o più semplicemente fan degli Orden Ogan alla ricerca archeologica delle origini del mito. In occasione del rilascio del mega pack composto da 2 CD e 2 DVD intitolato “The Book of Ogan” anche l’esordio della band tedesca viene finalmente pubblicato ufficialmente e partirei proprio da quello per sfogliare il libro degli Orden Ogan.
CD.2 “Testimonium A.D.”
Arrangiamenti orchestrali. Riff di matrice rock. Passaggi folk. Cori elaborati già ben sviluppati ed eseguiti, cosa singolare per un gruppo agli esordi. Tastiere ad arricchire le partiture. Così ti trovi di fronte a qualcosa ibrido tra le sfuriate di un power classico e influenze più tipiche del progressive/folk. La voce di Seeb non stupisce da subito. Non sale quasi mai, tende a raccontare, interpretare in un registro epico, tipico della vecchia scuola. La risultante è un disco atipico se paragonato allo stile attuale della band. Tuttavia se ascolti la prima traccia intitolata ‘Ethereal Ocean’ ci trovi dentro un coro dalla melodia elegante caratterizzato da una personalità ben definita, per certi versi unica. Infatti gli Orden sono unici e molto spesso il pubblico tende a liquidarli come derivativi a causa del loro stile composito, ma così facendo si tende a perdere di vista la loro capacità di costruire partiture personali attraverso soluzioni melodiche eleganti ed epiche allo stesso tempo. La successiva ‘Angels War’ è esempio cristallino della loro classe. Apre con un coro dal crescendo elegante, la cui melodia è epica dei caduti, qualcosa di sacro ci avvolge. Il brano si costruisce in riff d’impatto, strumenti a fiato e cori ad armonizzare. In questa prima versione del brano i riff distorti sono centrali, diversamente la versione di ‘Angels War’ inclusa in “To the End” del 2014 alterna arpeggi acustici e sfuriate elettriche. Rimangono due versioni ben fatte utili anche a fotografare l’evoluzione musicale di una band che dagli esordi è mutata in gran parte dei componenti e si è trasformata anche musicalmente, trovando una sintesi del proprio stile avvicinandosi al power metal. La tracce successive sono esempio mirabile di quanto in fondo fossero vicini ed allo stesso tempo lontani nel trovare una dimensione definitiva con cui proporsi. Possiamo così ascoltare ‘Moods’ che corre in bilico tra un folk gotico e quello spirito power/epico che è marchio indelebile degli Orden ai nostri giorni. Pregevole, anche per le linee vocali curate e ben sviluppate di Seeb. Invece sia ‘Golden’ che ‘The Step Away’ rallentano vistosamente i tempi, sfiorano il doom, muovendosi in una sorta di epica interiore che corre verso astri remoti. Atmosfere che riprenderanno ad esempio in ‘Requiem’ tratto da “Easton Hope” e che in modi diversi si faranno sentire in molti brani della loro discografia. I testi percorrono territori lontani rispetto all’epica fantasy che contraddistingue buona parte del power metal, ma volgono lo sguardo a tematiche più intimiste cosa che rimarrà altro tratto distintivo del proprio modo di rileggere il genere.
In ogni caso malgrado “Testimonium A.D.” si allontani da quanto proposto dagli Orden Ogan nell’ultimo periodo, rimane un ottimo album che merita di rivedere la luce per essere (ri)scoperto.
CD.1 “All these Dark Years – The Best Of 2008 – 2015”
Se “Testimonium A.D.” è cosa per fan navigati alla ricerca del pezzo di mappa mancante, diversamente la raccolta del meglio intitolata “All These Dark Years – The Best of 2008 – 2015” dovrebbe rivolgersi a fan principianti o da bigino. Così gli Orden Ogan per compilare questa raccolta guardano alle set-list dei numerosi concerti sostenuti negli ultimi anni per poi integrare con brani esclusi dalle sessioni live.
Sono trascorsi quattro anni da “Testimonium A.D.” quando gli Orden Ogan riescono a pubblicare per l’etichetta Yonah Records il loro primo album ufficiale intitolato “Vale”. I brani qui mostrano un’interessante gamma di influenze: a volte ci trovi l’AOR, talvolta l’hard rock e qualche influenza più modernista. In realta’ vengono riproposti nel best of i tre brani (‘To new Shores of Sadness’, ‘The Lords of the Flies’ e ‘Farewell’) che risultano già in linea con quello che sarà il futuro della band tedesca più legato ad un power metal che alterna sfuriate ad epicità. Esempio cristallino di questo stile è ‘To new Shores of Sadness’ che inserisce passaggi di elettronica a sfuriate epico romantiche tipiche di un heavy antichissimo e quindi classico per definizione. Senza poi dimenticare soli che si rincorrono di krefeldiana memoria e cori a fare controparte al cantato di Seeb.
Due anni dopo, nel 2010, gli Orden Ogan pubblicano “Easton Hope”, un album in cui le atmosfere epiche e oscure danno vita ad un power che si fonde con l’epica dell’heavy più antico; vi sono i fantasmi di gruppi come Warlord, Stormwitch contaminati a derive a volte più moderne. L’album è davvero riuscito, difficile trovare passaggi a vuoto. Difficile poi non emozionarsi di fronte all’epicità di ‘All these Dark Years’ ripresa in questa raccolta assieme a ‘We are Pirates!’, una sorta di scherzoso tributo alla musa piratesca e con qualche rimando marcato nella melodia agli Hammerfall degli esordi. Peccato aver trascurato altri brani meritevoli, ma è prevalsa probabilmente la volontà di dare spazio al presente e del resto il loro album intitolato “To the End” del 2012 è dir poco brillante. Vi è una varietà di brani che sorprende, una capacità di essere immediati, ma mai banali. Così nel best-of ci imbattiamo in una title-track ove il power metal diventa serrato, per poi virare verso un brano inno quale ‘The Things we Believe in’ (superati ormai i due milioni di visualizzazioni su Youtube) che è fatto di magia antichissima e come tale splende maestoso. Poi ci piazzano il ballatone epico intitolato ‘The Ice Kings’ e infine chiudono con un brano anomalo intitolato ‘Masks’ che in realtà è una bonus track in “To the End”. Anomalo perchè difficilmente presente nelle loro set-list, anomalo dal punto vista musicale perché ricorda in certe parti i grandissimi Sentenced e comunque trasmette un forte senso di inquietudine. La scelta va poi contestualizzata nel legame stretto con un artista celebre per le cover di dischi storici del power metal (e non solo) come Andreas Marschall (Running Wild, Blind Guardian, Orden Ogan, etc…) con cui collaborano stavolta alla colonna sonora del film “Masks” scritto e girato dallo stesso Marschall.
L’ultima pagina del meglio degli Ogan la dedichiamo a “Ravenhead” pubblicato il 16 gennaio 2015 che è anche il loro ultimo lavoro. Se la critica si è affrettata a sottolineare i chiari rimandi agli amati (da chi? Da tutti. Non scherziamo) Running Wild, si è forse tralasciato di sottolineare come le atmosfere cupe e paludose del disco tratteggino un power metal davvero potente ed evocativo che presenta come sempre una personalità in grado di andare oltre alla citazione diretta. Tuttavia “Ravenhead” rimane un album inferiore ai suoi due predecessori, perché alcuni brani non sono del tutto riusciti, complice anche ospitate forse non troppo azzeccate e qualche melodia troppo leggera. In ogni caso le canzoni prescelte per la raccolta sono ben quattro e funzionano davvero bene sia dal vivo che su disco. Il coro di ‘F.E.V.E.R’ parte dalle note sghembe di un piano notturno per saturare maestoso le vostri inerti menti. Il video ufficiale ha già raggiunto il milione di visualizzazione. Non male per delle seconde linee. Quindi Running Wild? La title-track è quella cosa lì e non solo, ma dannazione se funziona. Completano l’affresco ‘Deaf among the Blind’ costruita su un coro che si ripete ossessivo e l’altro brano intitolato ‘A Reason to Give’ che deve molto a “To the End” e alterna sfuriate power a cori elegantemente intessuti in una trama impreziosita da riff e soli.
DVD 1-2 (no spoiler)
L’ultimo capitolo riguarda il contenuto dei DVD. Non mi è possibile dirvi come siano organizzati i menù e se la grafica della stessa sia funzionale e piacevole, in realtà ho avuto la fortuna di ammirare però il documentario degli Orden Ogan scoprendo in dettaglio la storia della band, dagli esordi anarchici e caotici al passaggio ad un’etichetta importante quale la AFM Records che gli ha consentito di fare tour e promuovere i dischi in maniera professionale. Il racconto è ben costruito attraverso immagini di repertorio inedite e davvero divertenti in alcuni casi. Non racconto altro: è un capito che vale la pena sfogliare senza anticipazioni.
I DVD poi contengono ben due concerti, due interviste, video e tantissimo altro materiale da tenervi occupati per un bel po’. Posso solo dirvi che gli Orden Ogan dal vivo sono un’entità singolare, mantengono una certa distanza dal pubblico, eppure il più delle volte, è il pubblico a cercarli, a cantare a squarcia gola i loro brani.
TO THE END (in conclusione?)
Per i supersti o quelli che sono riusciti a slittare a fondo pagina senza passare ad altro prima (complimenti!) posso solo dire che gli Orden Ogan hanno fatto davvero un gran lavoro nel ricercare quel materiale di archivio e confezionarlo con chicche quali il disco d’esordio e immagini inedite. Il best-of include poi una buona selezione di brani dalla loro discografia ed è certamente funzionale a farsi un’idea completa di chi sono gli Orden Ogan. In conclusione “The Book of Ogan” si adatta sia a coloro che intendono scoprire la band per la prima volta che ai fan professionisti alla ricerca dell’estremo. In conclusione: operazione più che riuscita.
MARCO “Krefeld” GIONO