Recensione: The Burning Cold
Tragedie dell’Umanità come la guerra. Amore e odio. Paura della morte. Sono questi, a grandi linee, i temi trattati dagli Omnium Gatherum nel loro ottavo album in studio, “The Burning Cold”.
Temi che lasciano intendere un approfondimento non solo degli argomenti testuali ma, anche e soprattutto, di una ricercata forma melodica, sì da rendere vive anzi vivissime le emozioni che vibrano sciolte nell’animo umano.
Con grande decisione e sicurezza nei propri mezzi, gli Omnium Gatherum compiono un processo sostanzialmente inverso a quello che caratterizza la media di chi bazzica il metal estremo. Invece di, per esempio, passare a tipologie più scariche come melodeath/modern metal, Jukka Pelkonen e i suoi eroici compagni d’aventura alzano l’asticella della potenza musicale, traendo così spunto per un robusto death metal melodico davvero… death!
Il suono dei Nostri è assolutamente dirompente, a tratti devastante, pure brutale in taluni passaggi, costantemente possente nella ricerca della giusta alchimia fra forza ferina e armoniosità. Del resto c’è in campo il chitarrista Markus Vanhala, genio compositivo che dà vita anche agli Insomnium, altra grande realtà del metallo finlandese.
L’intro strumentale ‘The Burning’ mette subito in chiaro i contorni del titanico muraglione di suono eretto dal combo di Karhula. Le chitarre sferragliano fra loro unendosi alle tastiere per una sublime melodia che fa rizzare sin da subito i peli dalle braccia. Il pianto delle stesse chitarre, il loro urlo, è qualcosa di assolutamente unico. Unico nel disegnare uno stile immediatamente riconoscibile in mezzo alla miriade di proposte similari.
Lo stordente avvio di ‘Gods Go First’ mostra con naturalezza ciò che si è più su scritto in merito all’impatto sonoro delle song. Dure mazzate sui denti, come scudisciate sulla schiena, e poi via, si vola con le meravigliose quanto armoniose invenzioni della formazione nordeuropea. Schianti di luce, cozzi di scintille, luccichii di lame affilate e arzigogolati tappeti di tastiere – unitamente al cruento e cattivo growling di Pelkonen – disegnano una song-capolavoro, resa irresistibile dal solo di chitarra e dal suo robusto sapore neoclassico che tanto fa bene ai palati dei raffinati ascoltatori che, in teoria, dovrebbero affacciarsi verso proposte meno aggressive. I cori inducono sogni a occhi aperti e s’infrangono contro una sezione ritmica perfetta, precisa e, di nuovo, imponente (blast-beats in ‘Driven by Conflict’, sic!). Come dimostra l’incipit di ‘Refining Fire’, monumentale gragnuola di mazzate sulla schiena che si aprono improvvisamente per lasciare passare un leitmotiv da lacrime salate sulla pelle del viso, talmente è commovente. Il brano sale di intensità… sale… sale… sale, sino a oltrepassare l’esosfera e a viaggiare per il Mondo dei Sogni. Forse è difficile crederci ma non c’è mai una nota fuori posto, non solo nelle prime tracce ma in tutte. Sintomo di un songwriting assestato ai massimi livelli mondiali e non solo nel territorio del death metal melodico.
Per ciò, ogni episodio è una meravigliosa scoperta, e a ogni scoperta segue il mistero. Il mistero di come sarà il pezzo successivo. In senso positivo, ovviamente, poiché ciascuna canzone è un qualcosa che vive di vita propria, lassù, nell’Olimpo ove abitano le poche realtà in grado di creare con clamorosa continuità musica dai contenuti sia lirici sia musicali impressionanti per grandezza compositiva. Ed è qui che gli Omnium Gatherum battono il 99% dei colleghi: nella magnifica arte di saper scrivere canzoni nate per vivere in eterno. Con qualche variazione sul tema, come per esempio ‘Over the Battlefield’, dal sapore progressive metal, soprattutto all’inizio e che, anch’essa, stampa all’interno della scatola cranica, in maniera indelebile – a mò di tattoo – un refrain da 110 e lode.
Mettersi ora a scrivere un track-by-track è sinceramente inutile ma sarebbe soprattutto svilente, talmente è tanta la grandezza degli Omnium Gatherum. Svilente giacché ciascun brano possiede in sé tutti gli elementi identificativi del loro stile – come già detto ma è bene ribadirlo, immediatamente riconoscibile poiché unico al Mondo – vivendo la propria esistenza in piena autonomia. Con una precisa, puntale identità, perfettamente inserita in un onirico contesto globale. La cui magia non deve essere descritta da parole a volte un po’ vuote ma che deve essere percepita, assorbita, digerita, assimilata per sempre nella mente. Per avere un ricordo imperituro del formidabile fuoco vitale che alimenta in modo così forte e vivido l’anima di una delle migliori band di metal attuali. Capace, peraltro, di sformare in sequenza dischi dal massimo valore assoluto.
Immensi e unici!
Daniele “dani66” D’Adamo