Recensione: The Coyote Who Spoke In Tongues
John Garcia è uno di quei nomi che non hanno bisogno di presentazioni, tale la dedizione alla causa e talmente lunga la lista di album e progetti legati allo stoner/desert rock cui Garcia ha preso parte negli ultimi venticinque/trent’anni.
Inutile, quindi, dilungarsi nel discutere di un curriculum già più volte descritto ed enumerato e senza dubbio meglio concentrarsi sulle risultanze dell’ultima fatica solista del grintoso cantante statunitense di origini messicane, dal titolo “The Coyote Who Spoke In Tongues”
Il sucessore di “John Garcia” è un album totalmente acustico nel quale l’ex – Kyuss propone cinque brani inediti, accompagnati dalle rivisitazioni in chiave unplugged di alcuni classici tratti dal repertorio della band madre, quali “Green Machine”, “Space Cadet”, “El Rodeo” e “Gardenia”.
Stante la curiosità iniziale di ascoltare Garcia cimentarsi con brani in chiave acustica e ri-arrangiamenti dei muscolosi brani tratti da “Blues For The Red Sun”, “Welcome To Sky Valley” e “…And The Circus Leaves Town”, va detto che il risultato finale non appare del tutto soddisfacente.
Garcia ci mette la consuete garra e pezzi come “Kylie” e “Give Me 250 ml” sembrano tutto sommato funzionare con quel mood a metà strada tra blues, country, stoner e canto tribale; tuttavia l’album ascoltato nella sua interezza non colpisce più di tanto ed evidenzia anzi una certa mancanza di dinamismo che onestamente tende ad appiattire un po’ il tutto.
Nello specifico dei pezzi del repertorio Kyuss, l’analisi non cambia nella sostanza: le canzoni vengono spogliate della loro nota irruenza per trasformarsi in ballate acustiche minimali, non prive di fascino (in particolare “Space Cadet”, forse la meglio riuscita del lotto) ma al tirar delle somme nemmeno in grado di reggere il confronto con le versioni originali
Più che un album vero e proprio, una sorta di esperimento. Non sgradevole da ascoltare ma nel contempo nemmeno così profondo e colmo di contenuti da garantirsi passaggi ripetuti nello stereo.
Stefano Burini