Recensione: The Crimson Temple
Una vecchia profezia recitava che sul finire del 2023 un nuovo flagello avrebbe dovuto colpire l’umanità: un’entità ultraterrena avrebbe attraversato le porte che delimitano l’aldilà, sarebbe entrata nel nostro mondo diffondendo il proprio verbo, inglobando ogni cosa nell’oscurità. Quel momento è ora giunto. Con l’avvento dell’inverno, infatti, Ade ha deciso di spalancare le porte del proprio regno e risvegliare dal sonno uno dei suoi più inquietanti servitori. Quest’essere diabolico ha così aperto le proprie ali, ha sprigionato tutta la sua magica energia e, avvolto da nubi nere come la pece e cariche di mortali miasmi, ha varcato la sacra soglia, entrando nella nostra dimensione, pronto ad assoggettare ogni essere vivente. Il ritorno in scena dei Varathron, uno dei nomi seminali della scena greca – tra i capostipiti del black mediterraneo – può essere descritto proprio così. Sì, perché il nuovo lavoro, “The Crimson Temple”, può essere visto come il risveglio di un potentissimo demone del passato, pronto a conquistare il nostro mondo, a prendersi ciò che gli spetta da tempo.
“The Crimson Temple” arriva a cinque anni di distanza dal precedente “Patriarchs of Evil”, uno dei punti artistici più elevati mai toccati dalla formazione capitanata da Necroabyssious. Quando abbiamo scoperto che i Varathron erano pronti a tornare con un nuovo album, la prima domanda che ci siamo posti è stata: «Saranno in grado di bissare un disco del calibro di “Patriarchs of Evil”?». Beh, la risposta può arrivare solo ora, con “The Crimson Temple” in nostro possesso. Il nuovo album si presenta diverso rispetto al suo predecessore. È sicuramente più diretto e rivela un legame fortissimo con la tradizione ellenica, grazie all’utilizzo di partiture che richiamano strumenti come la cetra e la cornamusa. Allo stesso tempo, però, presenta un filo conduttore con il passato, con l’entità artistica che risponde al nome Varathron. Incontriamo quindi le personalissime melodie della scena greca, scandite dalle due asce di Sotiris e Achilleas C. Veniamo rapiti da una batteria incalzante, pronta a lanciarsi in brutali assalti frontali, per poi passare a momenti più riflessivi e pesanti, ben supportata da un basso in grado di dare spessore. Ad amalgamare queste due anime – di distacco e continuità con il recente passato – ci pensano le tastiere – sempre a opera di Achilleas C – fondamentali per donare maggiore oscurità e misticismo a “The Crimson Temple”. Il risultato è un tappeto sonoro ipnotico, plumbeo, coinvolgente, trascinante, in cui Necroabyssious può vomitare sul microfono tutta la sua rabbia, l’odio e il disprezzo per il genere umano, scagliando anatemi e invocando l’aiuto e la forza di oscure entità. La sua prova è davvero letale, carica di enfasi e teatralità. Un sacerdote nero pronto a portare l’apocalisse in Terra.
“The Crimson Temple” offre subito tantissima qualità, grazie a un pezzo del calibro di ‘Hegemony of Chaos’, che evidenzia quanto appena descritto. Si continua con ‘Crypts in the Myst’, canzone diretta e in your face, ma che sa inserire passaggi pesanti, neri, desolanti e melodici al tempo stesso. Ci imbattiamo nell’epica e maestosa ‘Cimmerian Priesthood’, passando per la classica ‘Sinners of the Crimson Temple’, fino ad arrivare al monolite di oscurità che chiude il disco: l’accoppiata ‘Swamp King’ e, soprattutto, ‘Costellations of the Archon’. Proprio con il capitolo finale dell’album ci ritroviamo avvolti in una nera nebbia pestilenziale e, respirandola, cadiamo vittima dell’incantesimo che si cela tra le sue trame, piegandoci così al volere dei Varathron.
“The Crimson Temple” è un album in grado di ammaliare, ipnotizzare e conquistare l’ignaro ascoltatore, attrarlo a sé dall’inizio alla fine. È un lavoro riuscito, che sa di Varathron fino al midollo. Certo, se paragonato a quel capolavoro intitolato “Patriarchs of Evil” qualcosa paga, ma riesce a difendersi alla grande, confermando l’ottimo stato di forma di Necroabyssious e compagni, e di tutta la scena black ellenica. Credo non serva aggiungere altro: se cercate l’abisso, l’avete trovato.
Marco Donè