Recensione: The Cult Of Triblade

Di Stefano Ricetti - 13 Febbraio 2020 - 12:30
The Cult Of Triblade
Band: Gunjack
Etichetta: Autoprodotto
Genere: Heavy 
Anno: 2019
Nazione:
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65

Dietro al moniker Gunjack si nascondono tre ceffi rispondenti ai nomi, o per meglio dire nomignoli, di Mr. Messerschmitt (Voce, Basso), Gamma Mörser (Chitarra) e M47 (Batteria). All’anagrafe italiana risultano come Alessandro Dominizi, Fabio Cavestro e Andrea Ornigotti. Power trio con base nel milanese, i Nostri emettono i primi vagiti – si fa per dire, vista la veemenza mostrata dietro al microfono – nel 2017 e giungono all’esordio l’anno successivo, con Totally Insane, full length targato Sliptrick Records.

The Cult Of Triblade, oggetto della recensione, costituisce il loro secondo album e vede la luce in regime di autoproduzione. 45 i minuti di fuoco e fiamme dispensati dai Gunjack, declinati lungo tredici pezzi. Una volta, quando le uscite discografiche erano solo in vinile o musicassetta, dai nomi di battaglia scritti sul retro della copertina già si poteva arguire la tipologia di suono di appartenenza di una band. Oggi questi particolari o sono sfumati del tutto o, peggio ancora, spesso risultano addirittura fuorvianti. Non nel caso dei milanesi, però: notare che vengano scomodati modelli di aerei che fecero la storia della Seconda Guerra Mondiale piuttosto che nomi di carri armati, insieme con una umlaut galeotta costituiscono indizi certi. E se tre indizi fanno una prova allora ci si può attendere una bella gragnuola di colpi a la Motörhead, dai tre “Guns”.

Detto… Fatto! Dalla traccia che dà il nome all’intero lavoro – in realtà più dalla seconda “Behind The Truth” – sino all’ultima in scaletta, “Last Conflict”, ci si immerge in un viaggio che riannoda il nastro del tempo all’indietro. Quando altri tre reietti, in quel della terra d’Albione, a metà anni 70, diedero il via alla migliore peggior band del mondo, così come vennero etichettati, frettolosamente e da certuna critica, i Motörhead.

I Gunjack ripercorrono quei sentieri, fregandosene altamente che siamo nel 2020 – anche se il disco è risalente al 2019 – e pestano a destra e manca senza redenzione, con l’ugola a grattugia del Signor Messerschmitt a condurre le danze. Operazioni di questo tipo vennero fatte anche in passato e, per restare all’interno dei patri confini, basta andare a risentirsi il debutto omonimo dei Fingernails, del 1988. Illo tempore definii quel disco come la risposta italiana al combo britannico che suonava più Motörhead degli stessi Motörhead. A distanza di decenni i Fingernails continuano a mazzuolare alla stessa maniera e così, molto probabilmente, continueranno a fare anche i Gunjack. A rimarcare la fuck you attitude dei lombardi, il fatto che nel booklet accompagnatorio del cd, di otto pagine, compaiano i testi, le foto in sottofondo della band, gli special thanx ma nessuna informazione riguardo i componenti della line-up. Men che meno i nomi, o nomi di battaglia che dir si voglia! L’heavy metal, in fondo, è adrenalina, sudore, borchie e poche menate di sorta. The Cult Of Triblade: niente di nuovo sul fronte occidentale, quindi, solo una sana mazzata di sporco e rozzo heavy fucking metal dal retrogusto punk all’ombra della Madunina.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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