Recensione: The Dark Side of the Cult, a Tribute to Blue Öyster Cult
I Blue Öyster Cult sono una fra quelle band che, per ragioni apparentemente insondabili, hanno sempre fatto parecchia fatica ad assicurarsi un posto d’onore nel cuore degli appassionati dediti al culto della musica dura. Metallari tutti d’un pezzo e con un curriculum lungo così non hanno mai concesso loro una possibilità che andasse oltre al trittico d’esordio Blue Öyster Cult (1972), Tyranny and Mutation (1973) e Secret Treaties (1974), con parziale dispensa per pezzi immortali quali “Don’t Fear the Reaper” (da Agents of Fortune, 1976) e “Godzilla” (da Spectres, 1977). Azzardando, il motivo di tale ostracismo è molto probabilmente da imputare alla marcata versatilità del gruppo americano, che oltre a frequentare i sentieri dell’hard rock e parzialmente dell’heavy non si è mai fatto mancare potenti incursioni psichedeliche e progressive, con anche sconfinamenti in ambito jazz e pop. Un po’ troppe cose per chi è uso inscatolare la musica entro confini ben determinati e inviolabili. Punti di vista, insindacabili, per chi vive la passione dell’heavy metal sulla propria pelle da decenni in maniera attiva, ma ciò non toglie che esistano vere e proprie legioni di ultras legate al combo di Eric Bloom (voce) e Donald “Buck Dharma” Roeser (chitarra), esattamente per la ragione contraria, ossia l’amore per la diversificazione, il paradosso di alcune scelte e la coerenza di rimanere se stessi nonostante i probabili ammiccamenti commerciali, ricevuti nel tempo, atti a trasformare il gruppo in un qualcosa di più incasellabile e quindi maggiormente spendibile sul mercato.
Ai BÖC, poi, viene attribuito, secondo alcune linee di pensiero, il merito di aver dato origine al termine heavy metal, nel momento in cui il produttore Sandy Pearlman, mentore del gruppo, così definì il loro suono. Storie su storie che si sommano a quella legata agli Steppenwolf e all’altra riguardante Mike Saunders alle prese con il disco d’esordio dei Sir Lord Baltimore. Questioni di lana caprina alle quali mai verrà fornita una risposta certa e definitiva. L’importante è che l’heavy metal esista, punto!
L’occasione di rituffarsi nella proposta dei Blue Öyster Cult la fornisce la Black Widow Records per il tramite dell’uscita a doppio Cd intitolata The Dark Side of the Cult, a Tribute to Blue Öyster Cult. Un’operazione fortemente voluta da Giancarlo Bolther, facente parte della redazione della rivista Flash a suo tempo, autore peraltro anche dell’azzeccata ed evocativa copertina.
Trattasi di un possente digipak a libro dalla fortissima connotazione collezionistica con i dischetti ottici alloggiati nelle tasche ricavate all’interno e un booklet incorporato di ben ventotto pagine molto ben allestito e dall’allure gotica. Si parte con la genesi dell’intero lavoro da parte dello stesso Bolther per poi proseguire con gli interventi dell’ex Manowar Ross the Boss, David Lucas, Martin Popoff e John Shirley. A seguire le foto in bianco e nero di tutte le band coinvolte nel progetto complete di formazione mentre l’ultima facciata è dedicata alle note tecniche di rito.
Musicalmente, allo stesso modo di operazioni analoghe, si trovano pezzi eseguiti nel rispetto degli originali e altri che invece spaziano un po’ di più. Scelte indiscutibili che dipendono dalla sensibilità dell’artista nei confronti, in questo caso, dei Blue Öyster Cult. A marcare la differenza sono “Death Valley Nights” dei Lifestream, “Godzilla” dei Death SS, “Don’t Fear The Reaper” dei The Forty Days, “Monsters” degli Ottone Pesante, “Heavy Metal The Black and Silver” degli Smed, “She’s As Beautiful As a Foot” de L’Impero delle Ombre, “Wings Wetted Down” degli Epitaph e “Astronomy” dei Blue Dawn ma più in generale The Dark Side of the Cult va preso in blocco, data la qualità media elevata delle varie prove e la cura maniacale con la quale Bolther & Co. hanno realizzato il prodotto.
Stefano “Steven Rich” Ricetti